sabato 20 novembre 2010

Scuola e città: le due autonomie.

Una scaletta per ragionare insieme

a cura di Ivana Summa

Prima parte: uno sguardo generale sullo stato dell'autonomia scolastica e del governo del sistema.
Lo stato attuale di "blocco" del sistema implica un riorientamento delle politiche dell'istruzione e della formazione all'interno del discorso delle autonomie scolastiche che si vanno configurando come minacciose burocrazie professionali, compatibili con il governo top down (government) e con le logiche di tipo gerarchico (vedasi D.Lgs. Brunetta). Se ne può uscire se si tiene conto dell'emergenza di un campo istituzionale caratterizzato da una pluralità di attori istituzionali e di autonomie, compatibili soltanto con modalità non gerarchiche di governo (governance).In quest'ultima prospettiva, il modello organizzativo delle scuole e del loro governo potrà trasformarsi in senso "comunitario" e partecipativo, senza retrocedere alle forme degli anni'70.Dunque:
• è necessario uscire dalla retorica dell' "autonomia per l'autonomia" che, lasciata alle singole scuole, può degenerare o in forme autarchiche ed autoreferenziali (il POF come strumento di governance interna alle mura scolastiche, ma socialmente irrilevante) o in forme "satellitari" del Ministero, attente ad applicare burocraticamente ogni riforma centralmente elaborata.
• Potenziamo istituzionalmente le "reti di scuole" esistenti sul territorio, leggendo le modalità, le motivazioni, le esigenze che esprimono. Da sole non ce la fanno e diventano sistemi opportunistici per attrarre risorse finanziarie, senza poi lasciare tracce significative sulla qualità dell'offerta formativa. Devono, invece, diventare forme solidaristiche di aiuto e di arricchimento reciproco.
• Valorizziamo le "micropolitiche" di quelle scuole che sanno interpretare politicamente la loro autonomia, facendo scelte strategiche, piani di miglioramento e processi di innovazione didattica, finalizzati al successo formativo di tutti e di ciascuno. Come ci dicono le ricerche, le scuole non sempre hanno saputo interpretare questa potenzialità dell'autonomia scolastica, confinando le innovazioni didattiche alle riforme ordinamentali e curriculari che, a loro volta, ignorano questo l'autonomia di ricerca e sperimentazione, imponendo modelli pedagogici pensati a tavolino (vedi Riforma Moratti) o, peggio, finalizzati ad estirpare la stessa didattica e pedagogia (Vedi Riforme Gelmini), fondative di quasi 50 anni di scuola democratica. L'autonomia delle scuole non può restare un'istanza che - dopo 10 anni - continua a discendere dall'alto (top-down), ma un processo bottom-up che viene messo in moto nel tessuto stesso delle realtà scolastiche e territoriali, in un dialogo virtuoso che apre a tutte le forme di collegialità orizzontali interne ed esterne alle istituzioni scolastiche autonome.
• Rilanciamo con convinzione la "questione educativa" aprendo a scelte che intrecciano in modo denso etica ed epistemologia, secondo la lezione di E. Morin. Non significa rinunciare a saperi e competenze-chiave, ma riempire di valori forti e nuovi incentivi progettuali le innovazioni, le quali non coincidono con le determinazioni normative che, se buone, diventano efficaci.
• Diamo "voce" alle scuole: una voce che sia portatrice dei saperi professionali dei docenti, degli autentici bisogni formativi degli alunni, delle esigenze e delle carenze educative delle famiglie. La scuola che tace è una scuola oppressa e depressa, delegittimata socialmente.
• E' necessario dare corpo ed anima ad un nuovo progetto di scuola; non è operazione semplice ma neanche così impossibile. Richiede impegno, coraggio, orgoglio di ciò che si è fatto in passato con la consapevolezza che non lo si può replicare sia perché è impossibile sul piano economico e sociale sia perché diventerebbe vecchio ed inefficace. Richiede ascolto attento e serio dei docenti, dei loro disagi ma anche delle loro attese professionali.
• E' urgente - intanto- diffondere e risignificare le parole di sinistra che sanno ancora parlare alle scuole: equità, eguaglianza, inclusione, integrazione, cultura, solidarietà, socializzazione, formazione critica, merito (sì, anche merito, nel suo significato costituzionale, art.34,c.2).

Seconda parte: uno sguardo generale sullo stato dell'autonomia scolastica in rapporto alle autonomie del territorio.
Le questioni chiave:
 Le interdipendenze e le interrelazioni tra i diversi soggetti istituzionali presenti sul territorio con le diverse forme espressive di autonomia sono destinate a svilupparsi ancora ed inevitabilmente, dal momento che le riforme vigenti - Titolo V e Legge n. 42/2009 - prefigurano un modello strutturale caratterizzato da una complessa rete di funzioni, poteri, responsabilità. Modello che è necessario orientare, guidare, gestire. Insomma è un modello allo "statu nascente" che può involversi verso forme conflittuali, derive localistiche ed asfittiche (modello leghista), ma che può anche prefigurare forme concertate e virtuose di governo in grado di integrare le risorse di ciascun soggetto e di neutralizzare le debolezze.
 Quando parliamo di sistema di istruzione e formazione, dobbiamo essere consapevoli che ci riferiamo ad una pluralità di soggetti che svolgono funzioni di cui hanno la piena titolarità e per le quali dispongono (o, meglio, non dispongono) di risorse umane, finanziarie e strumentali specifiche. La pluralità dei soggetti deve diventare davvero integrazione tra le diverse espressioni dello Stato Repubblica - Regioni, Comune, province e le stesse autonomie scolastiche - finalizzate alla collettività/comunità destinataria del servizio. In che cosa si distingue questa governance delle autonomie sul territorio dal governo del sistema scolastico da parte del Ministero? La differenza è caratterizzata dal fatto che lo Stato si limiterà a fissare i LEP, ma i territori dovranno negoziare, con la comunità gli standard di qualità del servizio e tornare a concretizzare il diritto allo studio.
 Oggi, gli enti locali - attanagliati dai tagli di bilancio al pari delle scuole - cercano generosamente di garantire i servizi minimi nei confronti dei cittadini, a loro volta alle prese con le nuove incombenti povertà; stanno svolgendo necessariamente funzioni di supplenza, impedendo loro, di fatti, di prestare la necessaria attenzione alle politiche locali di sviluppo qualitativo dell'offerta formativa. Risultato: si sta abbassando paurosamente la qualità del sevizio, nonostante gli interventi degli Enti Locali.
 E' urgente partire dal territorio per elaborare politiche locali integrate e volte a costruire un grande "laboratorio di ricerca e sviluppo" in cui scuole ed istituzioni locali collaborano e cooperano all'interno di un progetto comune. Dunque:
- non più distribuzione di risorse a pioggia, per passare ad una gestione mirata, capace di sostenere e farsi sostenere da "reti" forti, in grado di progettare su tempi medio-lunghi, secondo una logica di sistema, monitorando e valutando i risultati.
- in tempi di crisi paradossalmente è urgente investire in innovazione e qualità. Sono, questi, investimenti di lungo respiro,investimenti "lenti", che puntano sulla formazione delle risorse professionali. E' da almeno 10 anni che non esiste più un sistema di formazione e,dunque, non si sta investendo nell'unica grande risorsa disponibile: le persone e, in particolare, i docenti.
- Infine, per migliorare davvero la qualità dell'offerta formativa, bisogna - come Bologna ha insegnato nei formidabili anni '70 con il tempo pieno e la scuola dell'infanzia e negli anni '80 con i laboratori di territorio che hanno dato un formidabile contributo alla ricerca didattica della scuola - ritornare a scommettere su sperimentate e nuove strategie formative, tese a superare le incombenti nuove povertà culturali delle singole scuole e dei singoli territori.

Comunicazione al "FORUM PUBBLICO Le scuole e la città"
Bologna, 10 Novembre, Sala Passepartout