I servizi educativi e scolastici per l'infanzia.
Gabriele Ventura
PREMESSA
La
situazione di emergenza determinatasi per il sistema dei servizi
educativi e scolastici gestiti dai Comuni a partire dalla fine del
2011 in conseguenza del combinato disposto dalle varie norme emanate
da allora in poi inerenti il Patto di stabilità e la gestione del
personale non è ancora terminata.
L’amministrazione
comunale di Bologna ha individuato e avviato per l’a.s. 2012-13 una
prima revisione dell’assetto organizzativo che consente una
gestione efficace dei problemi più gravi e più urgenti sia in
ordine alla continuità del servizio che in ordine alla occupabilità
del personale precedentemente incaricato a tempo determinato,
rispettando sostanzialmente i vincoli su riferiti.
La
soluzione adottata prevede la responsabilizzazione di Asp Irides
nella gestione di alcune parti del servizio sia nelle scuole
d’infanzia che nei nidi, in relazione ai punti più deboli del
precedente assetto organizzativo per quanto riguarda la gestione del
personale (nel nido: orari prolungati e integrazione bambini con
handicap, sia nel nido che nella materna: gestione del servizio
ausiliario in una quota parte dei servizi: 13 nidi e 20 scuole
infanzia) prevedendo nel contempo la possibilità di prolungare per
un altro a.s. l’attribuzione di incarichi a tempo determinato per
il personale insegnante delle scuole d’infanzia.
Resta
da elaborare invece una soluzione organica e di prospettiva
all’interno di uno scenario nel quale sono cambiati alcuni aspetti
significativi ma non i dati strutturali di fondo del problema. In
questo quadro occorre individuare prioritariamente una soluzione
utile già per il settembre 2013 per la gestione dell’insieme dei
posti occupati da insegnanti incaricati a tempo determinato nelle
scuole d’infanzia.
Rimane
del tutto aperta la sfida complessiva che avevamo sintetizzato a
marzo 2012 in questi termini: “..Occorre ridefinire il senso della
situazione … nei termini di capacità di affrontare e gestire una
vera e propria transizione di sistema (che risulta necessitata alla
sua origine, ma non nei suoi esiti..) con l’obiettivo di avviare
una trasformazione guidata verso nuovi assetti organizzativi dei
servizi educativi e scolastici a gestione diretta, finalizzata a
mettere in sicurezza sia i diritti dei bambini che quelli degli
adulti (lavoratori e famiglie)
con uno sforzo collettivo e convergente di responsabilità creativa e
realistica”.
Tornare
ad affrontare il problema oggi, dopo un primo anno di elaborazioni e
di riflessioni, dovrebbe consentire però anche il lusso di poter
riordinare le idee attorno a dei nuclei di contenuto che, per quanto
siano intrecciati fra di loro in modo indissolubile sul piano pratico
e quindi rimandino a soluzioni omeopaticamente e specularmente
complesse, debbono essere mantenuti distinti in un primo momento sul
piano dell’analisi per una messa a fuoco più precisa per poter
arrivare a elaborare una sintesi efficace sul piano della
progettazione e della sperimentazione coerente delle ipotesi di
soluzione.
Non
è indifferente nemmeno sul piano dell’analisi l’ordine di
ingresso dei temi o per meglio dire la chiave di approccio, il passo
iniziale di un percorso logico finalizzato a questo scopo perché
proprio come avviene nel gioco degli scacchi la prima mossa spesso
determina il tipo di partita che poi si giocherà.
Da
questo unto di vista occorre segnalare che la revisione della
gestione e del funzionamento dei servizi educativi e scolastici nel
tempo di una crisi economica che accompagna e qualifica un processo
di trasformazione antropologica e culturale strutturale dovrebbe
individuare anche l’obiettivo di recuperarne una funzionalità
generale attraverso l’analisi di problemi specifici che si pongono
su di un versante psico sociologico e di un approccio di pedagogia
sociale dotato degli strumenti concettuali, metodologici e tecnici
adeguati quanto meno a giocare la partita alla pari piuttosto che
limitarsi a subirla sulla difensiva e in ritardo.
La Questione pedagogica: gli orientamenti.
emergenze sociali e culturali e ricostruzione di un percorso.
I
caratteri della crisi in campo educativo e culturale
Le
trasformazioni socio economiche registratesi negli ultimi
venti anni a livello internazionale hanno determinato a cascata una
quantità enorme di conseguenze sul piano sociale e culturale.
Il
profilo antropologico diffuso che ne consegue nell’area del mondo
in cui viviamo (occidentale, europea e latina) con particolare
riferimento alla costruzione della identità personale e di gruppo
(declinate secondo le differenze costitutive di genere e di
condizione esistenziale specifica nel corso delle diverse età della
vita, nonché le pratiche di relazione interpersonale e sociale sono
stati descritti e analizzati efficacemente da alcuni grandi pensatori
(Bauman, Morin, Sennett). Il quadro che ne risulta può essere letto
come una trasformazione epocale dagli esiti non prevedibili e dai
contorni problematici sotto vari profili.
Le
contraddizioni e i dilemmi che si esprimono a livelli radicali nella
vita delle singole persone e dei gruppi
sociali
fino al cuore di fenomeni che si collocano nella sfera della
produzione e della riproduzione della vita (in senso biologico,
psicologico, culturale e sociale) non potevano non avere
ripercussioni strutturali nel
campo dell’educazione.
Ad
oggi infatti occorre registrare un situazione generale di particolare
complessità e difficoltà (si è enunciato da più parti il concetto
di “emergenza educativa” in parallelo a quello di “crisi
economica globale”) determinata sostanzialmente dal fatto che sono
entrati in crisi sia i paradigmi autoritari e patriarcali
di una società prevalentemente contadina e manifatturiera (statica
nella sua struttura di fondo nonostante i progressi dell’economia,
della tecnica e della scienza) sia
quelli di natura libertaria e poi liberista emersi a partire dagli
anni settanta e ottanta
in coincidenza con una fase di sviluppo economico post industriale
caratterizzato da una mobilità di fatto incontrollabile (non solo in
senso geografico) di persone, merci e informazioni, nonché dalla
diffusione di strumenti di comunicazione e di interconnessione
planetaria.
Merita
segnalare che questi paradigmi sono entrati in crisi in conseguenza
del fatto che sono caduti i presupposti sociali che li fondavano e
sostenevano e quindi risulterebbe abbastanza velleitario qualunque
tentativo di elaborazione di contromisure meramente e astrattamente
pedagogiche, così come lo possono essere i discorsi su principi e
perfino sui diritti disancorati da un’analisi e da risposte sul
piano dei bisogni primari.
In
questa crisi stanno e con questa crisi debbono fare i conti
innanzitutto le diverse figure antropologiche interessate dai
processi educativi: in primis bambini, genitori, educatori e
insegnanti. Ma le stesse istituzioni educative non possono essere
considerate come fattori neutri sia sul piano del senso complessivo e
oggettivo che esprime la struttura e l’organizzazione, sia sul
piano soggettivo dei vissuti di agio o di disagio che nella
quotidianità caratterizzano l’esperienza dei singoli attori che si
muovono al loro interno in ordine alla gestione dei ruoli, delle
responsabilità e delle competenze, delle relazioni e degli
apprendimenti.
Linee
di ricerca per una il rilancio di una cultura dell’educazione
La
lezione della pedagogia istituzionale resta sotto questo profilo di
grande attualità e utilità, una volta che si riesca a declinarne
efficacemente gli strumenti classici di analisi e di progettazione
rispetto agli attuali scenari e contesti macro e micro sistemici
(cfr. U.Brofenbrenner) che potremmo definire caratterizzati da
elementi di “complessità liquida” (condensando in una formula
il contributo ben più ricco del pensiero di Bauman e di Morin).
Dentro questo cornice di riferimento di carattere generale il ricorso
sul piano macrosistemico al pensiero di J. Bruner in ordine alla
cultura dell’educazione e a quello di D.H.Winnicott in ordine a una
cultura della relazione, ci sembra che potrebbe completare il quadro
di un affascinante percorso di ricerca-azione che si configura di
fatto come un vero e proprio “esodo culturale” alla ricerca di
una nuova “terra” e un nuovo “inizio”.
In
questo percorso la pedagogia delle prima infanzia italiana ed europea
del novecento non manca certo di autorevoli e fondamentali punti di
riferimento; si può anzi dire che la pedagogia italiana del
novecento rappresenti la pedagogia delle prima infanzia tout court
anche a livello internazionale (per tramite soprattutto di due
figure come Maria Montessori prima (a partire dal primo decennio del
novecento) e Loris Malaguzzi (a partire dagli anni settanta) i cui
modelli hanno costituito un vero e proprio prodotto di esportazione).
Occorre
però nel contempo segnalare che, per quanto meno rinomati su scala
internazionale sono risultati più diffusi su scala nazionale i
contributi e le esperienze di Rosa Agazzi ( a partire dall’ ultimo
decennio dell’ottocento) e di Bruno Ciari (anni cinquanta e
sessanta del novecento) con un comune connotato di natura
intenzionalmente nazionalpopolare.
Non
sembri superfluo o retorico questo richiamo storico perché se è
vero che restano ignoti gli approdi di quel che abbiamo definito un
esodo culturale è altra tento vero che è bene non dimenticare i
punti di partenza perché rappresentano una dote ineliminabile (nel
bene e nel male), tale per cui non risulta né utile né possibile
non farci conti per quanto sia giusto e doveroso farlo criticamente e
con lo sguardo rivolto al presente e al futuro piuttosto che alla
nostalgia per una epoca d’oro pedagogica (che probabilmente non è
mai esistita per davvero come oggi ce la rappresentiamo).
Democrazia
ed educazione
Di una
cosa ci sentiamo abbastanza sicuri: ritorna prepotentemente di
attualità il nesso concettuale (già individuato da J.Dewey poco
meno di cento anni fa: 1916) fra “Democrazia ed educazione”, ma
con un significato più ampio in ordine ai contenuti e alla geografia
(occorre oggi infatti collocare quel nesso nell’ambito del processo
di globalizzazione economica e di interconnessione/contaminazione
culturale in atto) e più profondo (la sfida infatti si colloca oggi
sia per la democrazia che per la pedagogia al livello di una
necessaria rigenerazione di senso delle pratiche e di rifondazione
strutturale delle istituzioni, della organizzazione e delle
procedure).
Da
questo punto di vista e in questo contesto, appare francamente
patetica (absit iniuria verbis) la riproposizione di discorsi intorno
alla scuola e alla educazione di stampo normativo e statalista oppure
al contrario di stampo libertario e liberista, perché risultano
entrambi con ogni evidenza privi di qualunque possibilità di
aggancio con la realtà (non parliamo nemmeno di direzione dei
fenomeni..), impotenti sul piano di una qualificazione in senso
davvero democratico del governo del sistema e del suo sviluppo,
contrassegnati da inevitabili contraddizioni concettuali, nonché
spesso e volentieri da interessi di parte, a volte in modo tanto
smaccatamente corporativo, quanto velleitario.
Da un
certo punto di vista queste posizioni risultano paradossalmente
rinunciatarie perché evitano con cura il dilemma fondamentale che
caratterizza la democrazia nella sua forma attuale: quella di essere
applicabile solo al netto di tutte le differenze sostanziali che pure
costituiscono il nucleo fondante delle identità delle persone, dei
gruppi sociali e dei popoli. Da quelle occorrerebbe ripartire per una
iniziativa convergente e parallela di costruzione di un patto di non
belligeranza (nel senso di un movimento reciproco di evitamento del
danno come scopo primario) e poi di costituzionalizzazione (nel senso
della elaborazione culturale del riconoscimento della necessità
dell’altro ancora prima che in senso istituzionale), perché non
esiste democrazia reale senza la assunzione volontaria di un limite
sociale alla propria libertà di iniziativa. Da qui il carattere non
neutro ma piuttosto intersoggettivo e liberamente condiviso del
carattere democratico di qualsivoglia istituzione (anche di quelle
educative).
L’
accoglienza ecologica (cioè ordinata e regolata) nello spazio
pubblico delle differenze, come impegno (richiesto a tutti e
corrisposto da ciascuno) di ricerca di un dialogo e di un confronto
permanenti costituiscono la scelta originariamente fondante un patto
di convivenza cooperativa, attraverso l’interpretazione
responsabile e virtuosa di un processo dialettico di differenziazione
e integrazione. (cfr. Costituzione Italiana art. 2 e art. 3 comma 1)
Da
questo punto di vista un programma/obiettivo universalistico in tema
di diritti e scrittura delle regole è finalizzato al conseguimento
di traguardi progressivi sul piano della equità (intesa come pari
opportunità) e della libertà sostanziale (intesa come rimozione
degli ostacoli alla autodeterminazione consapevole e responsabile
(cfr. Costituzione Italiana . art. 3, comma 2 ). L’unità a cui
mira questa azione non può che essere che una “unità plurale”.
Ecologia
dello sviluppo umano
Se
l’educazione reale si determina come esito di una relazione
strutturalmente e costitutivamente dialettica (fra genealogia e
ambiente, singolarità’ individuale e sistema sociale, maschile e
femminile, ecc.), allora ai fini di una riforma morale e
intellettuale di cui si sente il bisogno in modo acuto in una fase di
inizio millennio che si può definire senza enfasi di transizione
epocale di civiltà, allora occorre la consapevolezza della necessità
di un doppio movimento in campo pedagogico.
Da un
lato si
pone la necessità di una nuova alleanza educativa fra i molti attori
chiamati in causa a vari livelli di complessità del sistema
relazionale e sociale (da micro al macro e viceversa) a partire
dalla consapevolezza del valore e della parzialità al tempo stesso
del proprio essere individuale: l’educazione o è cooperativa e non
è . Da questo punto di vista potremmo dire provocatoriamente che
l’educazione reale non è materia di esclusiva competenza di
qualcuno professionalmente deputato a questo scopo (stesso discorso
per altro si può tranquillamente fare per la salute..).
Bisogna
però intendersi bene: perché non è parimenti ammissibile una
deriva degradante sul piano culturale che azzera qualunque
riflessione seria e rigorosa a favore di un senso comune che per
altro risulta sempre più condizionato da fattori estranei di tipo
sub culturale o massmediologico o consumistico. L’analfabetismo di
ritorno insomma si esplica ben oltre il versante funzionale (anche in
campo educativo) in modo tale per cui la comprensione della frase
costituzionale relativa la fatto che “la sovranità spetta al
popolo” deve necessariamente includere anche il seguito dove si
specifica come segue “..che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione” . Qualcosa di simile vale anche per il diritto
dovere all’esercizio della responsabilità educativa primaria in
capo a genitori e famiglie, rispetto a diritti fondamentali della
persona che per altro sono almeno in parte già definiti per quanto
riguarda i casi limite nel codice Civile e penale. Questo fatto per
altro non si capisce perché mai dovrebbe suscitare sospetti e
diffidenze (al netto di incidenti ed eccezioni..) invece che
rappresentare una garanzia di terzietà legalitaria (che notoriamente
serve solo in casi di necessità) e quindi risultare rassicurante per
tutti. Alla luce di una matura assunzione di responsabilità
personale e sociale e di una corretta elaborazione deontologica e
professionale le differenze (di ruolo, di soggettività personale, di
genere, di cultura, di età, ecc.) non possono che essere una
risorsa, piuttosto che un problema.
Per
una pedagogia sufficientemente buona
E’
comprensibile che nel mezzo di una temperie di trasformazioni,
economiche, sociali e culturali della portata che abbiamo potuto
appena accennare si registrino fenomeni diffusi di disorientamento
che affiggono educatori naturali e professionali (fuori di metafora:
genitori e insegnanti).
Al di là
degli episodi eclatanti e anche drammatici riportati di volta in
volta (ma con una crescente frequenza) dalla cronaca, da quello
straordinario osservatorio antropologico che è rappresentato dalla
gestione quotidiana dei servizi educativi e scolastici per l’infanzia
è possibile rilevare segnali di malessere e di difficoltà a carico
di adulti e bambini, tale per cui la dimensione della prevenzione
primaria deve essere individuata come una delle mission fondamentali
di quei servizi sul piano culturale e sociale.
A
carico dei genitori si rilevano:
-
fenomeni di insicurezza che rimandano a una condizione di
solitudine/isolamento, rottura delle reti genealogiche e
intergenerazionali tradizionali e debolezza di quelle amicali e/o
associative,
-
comportamenti e aspettative contraddittori, altamente diversificati,
a volte decisamente inadeguati sul piano delle modalità di cura
(come forma di pre-occupazione sana e responsabile)
-
enfatizzazione impropria ed esagerata delle aspettative in ordine ai
percorsi di apprendimento e di socializzazione dei bambini.
A
carico degli insegnanti (ma in modi diversi anche delle figure
ausiliarie) si rilevano:
-
una stanchezza specifica relativa a una certa fascia generazionale
determinata dall’anzianità di servizio che si proietta
ulteriormente nel tempo per effetto dei provvedimenti relativi al
prolungamento dell’età pensionabile con effetti che non paiono
ancora nemmeno tematizzati né da parte delle istituzioni, né da
parte sindacale;
-
un crescente affaticamento generale (indipendente dalla anzianità di
servizio) a fronte dell’aumento della complessità della esperienza
quotidiana di lavoro rispetto alle difficoltà emergenti nel rapporto
con i problemi che i bambini portano con sé a scuola, ma ancora di
più con i problemi e le aspettative che i genitori e le famiglie
portano a scuola;
-
una difficoltà a uscire da una concezione idealizzante e tardo
deamicisiana della professione educativa e docente che determina
sentimenti contraddittori di vergogna (rispetto a una consapevolezza
non dichiarata e quasi inconscia di inadeguatezza sostanziale) e di
contestuale ricerca di protagonismo nonché aspettative di
riconoscimento e gratificazioni sul piano lavorativo sia a livello
individuale che a livello sociale (come categoria e come sottogruppo
dotato di minore forza contrattuale nell’ambito della più ampia
categoria del personale insegnante). En passant occorre segnalare a
questo riguardo che il personale ausiliario soffre perfino della
mancanza di una qualifica professionale specifica.
A
carico dei bambini si rilevano:
-
difficoltà e ritardi nello sviluppo sul piano delle abilità
linguistico-comunicative
-
fenomeni di disagio sul piano relazionale (vissuti di
autoreferenzialità che vanno oltre la fisiologica caratterizzazione
relativa al grado di maturazione e di sviluppo e che sembra
attendibile ricondurre almeno in parte anche ad una carenza di
esperienza di convivenza, confronto e scambio con coetanei in ambito
familiare ed extrascolastico.
-
crescenti competenze sul piano della gestione dei codici visivi (
figure e simbologie) nonché di tecnologie comunicative da un lato e
minore padronanza delle competenze motorie (sul piano delle autonomie
personali ma anche delle capacità di orientamento in uno spazio non
virtuale, ma fisico e tridimensionale).
Educatori
e genitori: la condivisione implicita di una condizione da “comici
e spaventati guerrieri” (S.Benni)
La
presa di coscienza di queste problematiche può anche scoraggiare e
indurre alla rassegnazione oppure può produrre indignazione e
ribellione e poi indurre a velleitarie imprese di tipo prometeico.
Le
une e le altre sono già state ampiamente sperimentate nel corso
della storia universale e non pochi hanno potuto farne esperienza
anche nel corso della propria storia personale.
Ci
pare quindi possibile un affermazione apparentemente paradossale:
intenzionalità educativa e ironia sono tratti soggettivi che debbono
essere coltivati e coniugati quotidianamente, a livello personale e
debbono trovare anche delle espressioni tecniche e procedurali in
ambito istituzionale perché costituiscono un binomio fecondo e
virtuoso, un indicatore di benessere e di salute, prima ancora che di
efficacia.
Uno
sguardo educativo sapiente (declinato in termini di allegria e
bonarietà amorevole/materna o al contrario di severità
paterna/responsabile: cfr. Filippo Neri – 1575, Lorenzo Milani –
1967) può essere conseguenza di una fisiologica differenza di
attitudini soggettive e di personalità o invece la messa in atto di
una consapevole scelta contingente basata sulla interpretazione delle
circostanze, ma non è mai uno sguardo ingenuo o superficiale; in un
caso e nell’altro un tratto visibile di ironia e di autoironia
rappresenta l’indizio sicuro di una consapevolezza profonda della
realtà e del limite di qualunque intenzionalità e iniziativa che
voglia rimanere ancorata saggiamente alla terra e alla
caratteristiche ontologiche della condizione umana e della sua
storia.
In
ambito culturale e politico tutto questo può essere espresso con
formule di maggiore impatto comunicativo arrivando qualificare la
“pedagogia come scienza a sovranità limitata”, cioè come sapere
circa il senso, i contenuti e i modi delle attività di cura e di
sostegno dello sviluppo umano, nonché come pratica democratica di
promozione esistenziale sul piano della relazione interpersonale e di
emancipazione sociale sul piano della relazione comunitaria.
In
campo filosofico (pensare non risolve, ma aiuta) occorre riconoscere
che l’antico dilemma/paradosso inerente il concetto di libertà’
e autorità’ in educazione ha registrato (in anni recenti ma
neanche pochissimi ormai) dei contributi importanti e anche decisivi
da un certo pensiero femminile (cfr. Luisa Muraro, L. Irigaray) se
non fossero ancora ampiamente sottovalutati, se non del tutto
ignorati (tanto nella teoria accademica come nella pratica educativa
reale).
Che
fare? Una risata forse ci libererà (libero
adattamento da V.Majakovskij)
Occorre
innanzitutto creare due condizioni preliminari di consapevolezza sul
piano del metodo e della prospettiva:
- In primo luogo occorre sapere che non si tratta di una “malattia” leggera, a decorso breve; forse si può ottimisticamente considerare che si tratti di una di quelle malattie che in ambito pediatrico caratterizzano fisiologicamente la crescita, ma non ci sono vaccini efficaci che consentano di evitarla.
- in secondo luogo serve un esercizio onesto e permanente di confronto e di autocoscienza/autocontrollo perché le tentazioni istintive di rimozione e di fuga assumono anche tratti imprevisti (ad es. forme di collusione confusiva fra educatori in cerca di gratificazioni e genitori in cerca di rassicurazioni) che producono vere e proprie distorsioni della percezione dei problemi, delle persone e delle aspettative, dei ruoli, delle pratiche e delle relazioni. Nota bene: di solito con l’aggravante di un tratto aggiuntivo di natura individualistica e consumistica che, se è socialmente indotto, non per questo risulta meno dannoso e giustificabile. Occorre in ogni caso segnalare che si tratta di tentativi di soluzione puramente difensivi, inefficaci e alla fine anche controproducenti dei problemi, dei conflitti del senso di insicurezza diffuso.
Costruita,
anche senza una precisione satellitare, la mappa del territorio
educativo con le sue asperità e le sue paludi, completato
l’equipaggiamento necessario per il viaggio e acquisite le
informazioni di viaggiatori che abbiano già fatto tentativi
esplorativi, nonché le eventuali raccomandazioni di esperti vari e
diversi che possano risultare utili allo scopo si può tentare
qualche passo in una direzione o in un’altra.
Il
discorso qui si potrebbe allungare di molto ma in questa sede
preferiamo limitarci a indicare i titoli di quelli che ci sembrano
due piste di ricerca essenziali, quasi quanto indicazioni
segnaletiche significative, anche perché di contenuto coerente con
quanto si può raccogliere da altre fonti informative e perfino in
ambiti diversi da quello specifico dell’educazione.
Uno
sforzo utile e foriero di risultati vantaggiosi sembra riferibile ad
una iniziativa di ricerca binaria, finalizzata da un lato a rinnovare
il significato di un motto antico e dall’altro ad adattare il senso
di una parola d’ordine molto più moderna che qui utilizziamo come
metafora:
unicuique suum = a ciascuno il suo (n.b. in questo caso “il suo” sta per “mestiere”).
educatori di tutto il mondo (e di tutte le bandiere..) unitevi (n.b. in questo caso l’appello è finalizzato contrariamente a quello originario a scopi più miti, comunque non violenti, di rigenerazione del senso della parola educazione, attraverso la costruzione di un ragionevole e ragionato campo di autonomia epistemologica e pratica (anche attraverso un adeguato ripensamento delle categorie e degli strumenti di lavoro sul piano sociale, culturale, deontologico e tecnico) rispetto ad altre fonti di pensiero e di potere (quand’anche rappresentassero una legittima committenza) e anche rispetto ai condizionamenti determinati dalle eredità e dalle qualità originarie della storia individuale di ciascuno.
"Riforma della scuola" n° 15
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unicuique suum = a ciascuno il suo (n.b. in questo caso “il suo” sta per “mestiere”).
educatori di tutto il mondo (e di tutte le bandiere..) unitevi (n.b. in questo caso l’appello è finalizzato contrariamente a quello originario a scopi più miti, comunque non violenti, di rigenerazione del senso della parola educazione, attraverso la costruzione di un ragionevole e ragionato campo di autonomia epistemologica e pratica (anche attraverso un adeguato ripensamento delle categorie e degli strumenti di lavoro sul piano sociale, culturale, deontologico e tecnico) rispetto ad altre fonti di pensiero e di potere (quand’anche rappresentassero una legittima committenza) e anche rispetto ai condizionamenti determinati dalle eredità e dalle qualità originarie della storia individuale di ciascuno.
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