sabato 20 novembre 2010

Riflessioni sulla scuola e gli Enti Locali.

Gabriella Maini

Sempre più spesso in alcune riviste e siti che affrontano questioni scolastiche, oppure in quotidiani “di nicchia”, leggo interventi professional/politici, molto competenti e affascinanti, sui quali però, vorrei esprimere il mio punto di vista.
In questo dibattito ciò che mi colpisce è la serietà delle analisi e una buona parte di proposte professionali che ritengo avanzate. Ciò invece che mi lascia perplessa è lo “sfondo” o “l’esito”, tutto politico, a cui queste analisi conducono, quasi “prendendoti per mano”.
I presupposti di questi studi minuziosi sono: la valorizzazione di un sistema formativo basato sul merito, l’adeguamento all’Europa, la necessità di un Sistema di Valutazione e, sotto sotto, la ……………. compatibilità economica.
Questo dibattito si è sviluppato da tempo intorno al Sistema Formativo della Regione Lombardia che, a mio parere, nella fase sperimentale può apparire affascinante ed efficiente e sta coinvolgendo anche “pezzi” di sinistra “liberal” e/o efficientista, interessati al risparmio sul welfare, ma alla lunga, sono convinta che creerà le stesse contraddizioni del Servizio Sanitario Lombardo, visto che si basa sugli stessi assunti.
Per questo, come ho già più volte sostenuto, mi piacerebbe che la Regione Emilia Romagna mettesse in campo una proposta compiuta per un Sistema Formativo Locale basato sugli stessi presupposti di quello Sanitario, che garantisce costi inferiori a quello lombardo e, soprattutto, più equità e aderenza ai principi costituzionali.
Ovviamente condivido profondamente la necessità di un Sistema Nazionale di Valutazione e la volontà di raccogliere la sfida del raggiungimento degli obiettivi della Comunità Europea. A mio avviso, fra l’altro, l’Italia potrebbe svolgere un ruolo attivo e propositivo, valorizzando le esperienze di eccellenza che può vantare.
Al contrario essa assume il tipico atteggiamento di “esterofilia” accogliendo le “parole chiave” per “fare immagine”, ma tagliando drasticamente il Sistema Formativo che porterà ad una scuola d’élite per pochi e ad una scuola minimale per gli altri.
A questo scopo si usano le argomentazioni di insostenibilità economica da un lato e, dall’altro, si accusa il Sistema Scolastico Italiano di inadeguatezza. Ciò in quanto ci si basa su risultati mediani delle ricerche internazionali sugli esiti formativi dei ragazzi italiani, che non tengono conto delle ampie zone di degrado e di latitanza dello Stato nel nostro paese, e senza accennare che i dati OCSE-PISA dell’Emilia Romagna e in generale del Nord, ci vedono ai primi posti nelle stesse graduatorie.
L’uso strumentale di queste analisi condiziona pesantemente le opinioni, ma, allo stesso modo, chi vuole sostenere il Sistema Formativo in Italia, non deve difendere tutto e il suo contrario. Per esempio, non si possono difendere le pluriclassi e una rete scolastica non coerente con la normativa dell’Autonomia, oppure una Scuola Secondaria polverizzata in centinaia di specializzazioni, che a volte, forma ancora sezioni di “serie A” e di serie Z”.
La difesa ad oltranza rientra in una logica populista che la destra usa per tagliare su tutto con la scusa di “punire i fannulloni”, mentre la sinistra sembra subire, abdicando al dovere di proposta e di coerenza. Ma questo non paga, al di là delle apparenze e di alcuni risultati immediati (le famose vittorie di Pirro), come ben dimostrano gli ultimi 15 anni di vita politica italiana.

Vorrei qui sviluppare alcuni punti o parole chiave che mi piacerebbe diventassero oggetto di dibattito pubblico, competente e libero da pregiudizi di ogni tipo, da affrontare con il sistema della Ricerca e l’apporto dell’Università, non con il buon senso e i pareri individuali dei singoli opinionisti:
1) il metodo lombardo; 2) pubblico e privato; 3) la competizione; 4) la sussidiarietà; 5) scelte e differenze tra Scuole; 6) scelte delle famiglie; 7) costi dei sistemi formativi; 8) tempi scuola.

Il metodo lombardo
La normativa regionale lombarda sulla Formazione, ancora in fase di prima applicazione, prevede il sistema della “dote”, cioè finanziamenti agli studenti e alle famiglie basato su un articolato mix di Isee, sostegno al reddito e merito.
I soldi ricevuti possono essere spesi liberamente in una rete di Servizi Formativi Pubblici e Privati in competizione fra loro, secondo un approccio definito di “sussidiarietà matura” e su modelli di “quasi mercati” [le definizioni sono tratte dalle elaborazioni di personaggi autorevoli, come Giorgio Vittadini, già fondatore e presidente della Compagnia delle Opere, ora presidente della Fondazione per la sussidiarietà lombarda, patner attivo del Nuovo Sistema Formativo, …. fino a Tremonti], teso a superare l’antinomia tra Stato inefficiente e mercato poco attento al “bene comune”. Il tutto accompagnato da parole chiave quali: libertà, fiducia, responsabilità.
Questo Sistema non deve essere sottovalutato perché si basa su competenze e obiettivi politici chiari e condivisi da molti steicolder e da quella parte di popolazione che si sente liberata “dall’arretratezza dello statalismo”.
Il Sistema lombardo ha messo in moto la competizione tra Scuole con lo scopo dichiarato di attirare iscrizioni sull’onda dell’innovazione della proposta formativa.
A mio avviso quello lombardo è un Sistema Formativo vero, che accompagna la persona dall’Infanzia alla Secondaria, alla F.P. fino alla Formazione per tutto l’arco della vita (per tutti?), come prevedono le direttive europee.
Nei tre anni di applicazione i finanziamenti erogati alle persone con la “dote” sono triplicati razionalizzando e riconvertendo la spesa. Sarebbe bene comprendere in che cosa sia consistita la riconversione e da dove provengono (se ci sono) eventuali nuovi finanziamenti.
Questo sistema ha portato ad un consistente aumento di iscrizioni nelle Scuole Private che è raddoppiato, passando dal 10% al 20% circa in pochissimi anni.
Uno degli obiettivi della Regione Lombardia è quello di una radicale Autonomia delle Scuole che possa permettere anche un reclutamento diretto del personale, selezionandolo da un Albo degli abilitati, contro un sistema pubblico ritenuto ingessato e che non premia il merito.
La mia opinione è che la destra lombarda ha un piano organico, competente e innovativo, che io non condivido per nulla, ma che esiste e può diventare la “vetrina del Sistema Formativo Italiano”.
Tutto questo, però, non deve essere contrastato con slogan o proteste sterili. Per questo sono convinta che in Emilia Romagna dovremmo mettere in campo il coraggio, la responsabilità, la sobrietà e le forze migliori, per costruire un Sistema alternativo.

Pubblico e privato
Non condivido analisi ideologiche sulla dicotomia pubblico/privato, ma trovo poco rigoroso e “furbetto” bollare di ideologismo qualsiasi tentativo di confronto di merito sull’argomento. Mi piacerebbe che si lavorasse su questa questione in termini di ricerca, senza pregiudizi.
Io mi limiterò a soffermarmi su alcuni punti.
I costi del pubblico sono quelli del puro costo del servizio se si eliminano le inefficienze, anche se si mantengono rapporti corretti di lavoro che, nell’impostazione democratica e costituzionale, fanno civismo e ricchezza complessiva perché garantiscono i diritti e permettono una capacità di spesa e di investimento delle famiglie che è reinvestimento economico sul territorio.
E’ chiaro che il governo dei servizi, il controllo sulla trasparenza e l’efficacia, la formazione dei lavoratori, ecc, devono essere reali, ed in Emilia Romagna abbiamo dimostrato che si può fare, anche se si può sempre migliorare.
I costi del privato, invece, possono essere molto più flessibili e gerarchici perché possono avvalersi di lavoro precario, sottopagato e anche nero.
Questa flessibilità del lavoro permette di competere, almeno in una prima fase, ma alla lunga, quando i servizi sono stati delegati, i costi lievitano, senza necessariamente migliorare né le condizioni di lavoro dei lavoratori né la qualità dei “prodotti” offerti, ma semplicemente aumentando i guadagni delle imprese. Contemporaneamente tendono ad aumentare le prestazioni non sempre utili o indispensabili (in Sanità, per esempio, nel privato aumentano gli esami clinici e anche le operazioni).
D’altra parte il privato deve guadagnare dal mercato, “non è lì per fare beneficenza” e nemmeno per fare “patta” come il Pubblico.
Personalmente, in Emilia Romagna, ho sempre trovato più adeguati e meno costosi (per la collettività, non solo per il singolo, ovviamente) i servizi pubblici rispetto a quelli privati, se si guarda alla sostanza e non “all’immagine”. E se si educa a questo.

Competizione
Personalmente ritengo che la crisi economica globale abbia ben dimostrato come il mito della competizione sia miseramente fallito producendo più povertà e più conflitti.
Figuriamoci come può funzionare nei sistemi di welfare che hanno la “mission” di garantire diritti ed equità costituzionali e che non producono risorse economiche, essendo investimenti di solidarietà sociale (da non confondersi con l’assistenzialismo che è colpevole inefficienza dei sistemi di tutela).
In un Sistema Scolastico in competizione, è così azzardato immaginare che invece di misurarsi sulla qualità e l’efficacia, le Scuole possano vendere “immagine” più che contenuti? e che la ricerca dell’accaparramento dei soldi e del “cliente” produca populismo e accondiscendenza, invece che orientamento vero e formazione?
Potranno anche emergere Scuole realmente di qualità superiore, ma non potranno accogliere tutti. Esse saranno a numero chiuso e presumibilmente avranno prezzi più alti. Sarebbe questo il modo di garantire l’equità e le pari opportunità previste dalla Costituzione Italiana?
Andrea Segrè, preside e professore della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna, che ha ideato il sistema di recupero e di riutilizzo dei prodotti alimentari invenduti (e che non è un pericoloso rivoluzionario), scrive nei suoi libri, e per me dimostra, che la competizione e lo spreco sono inefficienze dei sistemi.

Sussidiarietà
Oggi la parola sussidiarietà sembra voler dire quasi tutto.
La si può intendere in termini federalisti, cioè la suddivisione di competenze tra Enti Pubblici (compiti dello Stato, delle Regioni, dei Comuni ….), oppure come deleghe al privato economico, al privato sociale, fino alle Fondazioni.
Spesso si distingue tra delega della gestione del servizio al privato e “governo del sistema”. La distinzione è teoricamente corretta, ma in Italia, per la nostra storia e per lo scarso senso dello Stato e della Costituzione, i sistemi privati o misti, legati al welfare (e non solo), non si sono mai dimostrati di particolare qualità. Questo sia perché il “governo reale dei sistemi” lo si fa sempre in modo burocratico, aprioristico e sulla carta, sia perché i controlli risultano scarsissimi e inefficaci, sul piano tecnico e su quello politico.
Per questi motivi, quasi sempre, il risultato è l’autosufficienza e la disomogeneità delle offerte, non la costruzione di un Sistema.
Anche se è vero che, a fronte di qualità diffuse piuttosto scarse, si trovano anche vere eccellenze, nel privato. Questo, però, è un problema, non un elemento positivo, se si devono garantire i Diritti Costituzionali di pari opportunità e non livelli differenziati di accesso. Peraltro, i servizi consolidati offerti dal privato finiscono per essere complessivamente più costosi, se si calcola la spesa dei cittadini e il finanziamento Pubblico (questo non avviene ancora completamente per la Scuola, proprio per i “paletti” costituzionali sui finanziamenti).
Personalmente ritengo che qualsiasi collaborazione col privato, sociale o no, sia utilissima, ma non condivido che siano delegate le Funzioni Pubbliche perché, nonostante ne abbia visti tanti, non conosco casi, in Italia, di migliori esiti dei servizi di welfare delegati ai privati, se l’obiettivo vuole essere la garanzia di Equità e di Pari Opportunità, non l’eccellenza per pochi.
Ora si parla tanto di volontariato e di privato sociale. Essi sono sicuramente importantissimi e utilissimi socialmente, ma, al pari del “privato di mercato”, anche loro hanno diritto alla libertà di scelta, di orientamento e di intervenire solo in relazione alle loro “mission”.
Questo, però, equivale a dire che tutto ciò che è privato, non è tenuto a garantire l’eguaglianza e le pari opportunità avendo, giustamente, il diritto di praticare e diffondere le proprie opzioni culturali, religiose, politiche, ecc.
Nei servizi e nella formazione, però, è indispensabile garantire i diritti costituzionali, altrimenti si entra nella logica della separazione che l’Italia non ha mai perseguito, contrariamente agli Stati Uniti.
Con questa logica ogni associazione si occuperebbe dei suoi adepti: la Chiesa cattolica potrebbe offrire scuole e servizi ai cristiani, l’associazionismo degli stranieri si occuperebbe dei propri simili, i musulmani dei musulmani, le associazioni dei disabili dei disabili, forse i “migliori” si occuperebbero dei superdotati, ecc. E tutto questo potrebbe avvenire con il sostegno economico pubblico, che sarebbe sempre inferiore alla gestione diretta.
E’ molto probabile che nessun gruppo impedisca l’adesione anche degli “altri” nelle proprie scuole, ma questi dovranno sottostare alle scelte degli Enti. Inoltre se nessuna impresa o associazione si occupasse di una certa categoria?
Per fortuna che per cambiamenti di questa portata bisognerebbe cambiare la nostra Costituzione, visto che si perderebbe tutto il senso culturale e sociale dello stare insieme tra diversi che ha ispirato i nostri Padri (e Madri) Costituenti.
E’ vero che si possono realizzare Accordi e Protocolli “di garanzia” tra Enti Pubblici e Privati, ma, a parte i problemi di controllo reale già citati, è possibile e corretto pretendere che il volontariato rinunci alla propria “mission” in cambio di accreditamento e di soldi? O non è in contraddizione con gli ideali di libertà, di correttezza e di trasparenza?
Infine: il ruolo delle Fondazioni bancarie è indubbiamente fondamentale per pattuire sostegni finanziari per opere meritorie (sociali,, culturali, …..), ma l’esperienza dimostra che, alla fine, dopo aver ascoltato tutti e/o aver fatto bandi, ecc, scelgono loro cosa finanziare. E questo vuole dire che, pur essendo utilissime, anche le Fondazioni non rispondano a criteri di Equità Pubblica e di garanzia di Diritti Costituzionali, anche quando collaborano col Pubblico.
Per questo ritengo che gran parte del welfare e il Sistema Formativo debbano essere pubblici con standar nazionali e forti interventi “federalistici” integrativi delle Regioni, basati su Progetti e Obiettivi Formativi Locali.
Come fa la Lombardia, ma in Emilia Romagna mi piacerebbe che ci fosse un Sistema alternativo.
In Lombardia la Fondazione per la Sussidiarietà contribuisce al Sistema Formativo Locale e la sua mission è sicuramente coerente con il progetto di Formigoni, ma in Emilia Romagna dovremmo costruire un progetto autonomo, come sulla Sanità.

Scelte e differenze tra scuole
Partendo dal presupposto che la libertà di scegliere la Scuola non è una libertà costituzionalmente garantita, è opportuno chiedersi se sia davvero possibile scegliere liberamente ovunque, non solo per le differenze Nord/Sud, ma anche per le diversità tra aree metropolitane e periferie, o per le difformità delle opportunità personali.
In Italia siamo ancora assolutamente lontani da un’idea di rete scolastica efficiente e rispettosa della normativa dell’Autonomia Scolastica, e questo non garantisce a tutti le stesse opportunità, ma non si è mai visto che il privato investa nei territori piccoli e disagiati. Qui è già quasi impossibile la sola scelta dei tempi lunghi anche nella scuola pubblica e al massimo si offre un po’ di doposcuola. Alla faccia della libertà di scelta!
Io credo che il Servizio Pubblico Locale debba garantire un’Offerta Formativa in tutte le Scuole dell’obbligo per tutti i bambini, con le specifiche differenze territoriali, ma con l’obiettivo di fornire ai ragazzi conoscenze e competenze rispetto a tutte le opportunità formative di base, senza anticipare specializzazioni o indirizzi che sarebbero prematuri, e non darebbero la possibilità di scelte consapevoli.
Solo verso la fine della scuola dell’obbligo potrebbe iniziare una graduale differenziazione delle opportunità e solo nel percorso successivo, la differenziazione potrebbe realizzarsi anche con percorsi personalizzati e flessibili.
Ma tutte le Scuole dovrebbero fornire le offerta e i percorsi migliori. Se si sostiene che le Scuole devono mettersi in concorrenza, vuole dire implicitamente che l’obiettivo della governance non è più quello di garantire che le scuole offrano a tutti le stesse opportunità, ma è quello di legittimare che qualcuno abbia scuole migliori e altri no.
Non dice questo la Costituzione.

Scelta delle famiglie
Nel nostro mondo globale e in Italia, dove il potere mediatico è in grado di orientare scelte, stili di vita e persino il voto di gran parte della cittadinanza, come si può credere che le scelte personali di formazione, liberate dagli “orpelli” pubblici, ma condizionate dalla pubblicità e dalla concorrenza, siano esercitate in modo appropriato e utile?
In tutti i campi i condizionamenti sono molteplici: dalla pubblicità implicita o esplicita, alla capacità di essere sempre obiettivi e coerenti nelle nostre scelte quotidiane.
Il consumismo a cui abituiamo i bambini o le scelte alimentari, per esempio, sono spesso pure contraddizioni rispetto ad un sano stile educativo e di vita. Siamo portati ad adeguarci a mode comode e alle richieste dei figli che, in certe circostanze, evitiamo di contrariare quasi a priori. A volte, anche in famiglia, finiamo per diventare un po’ tutti populisti.
Ma poi siamo sicuri che ognuno sia consapevole dei propri bisogni formativi, delle proprie attitudini, abilità, competenze, o di quelli dei nostri figli?
Oppure in un sistema in competizione corriamo il rischio di essere condizionati dalle suggestioni interne al “mercato”, più che dai bisogni formativi personali?
La competizione non può determinare l’aspettativa del cliente “soddisfatto o rimborsato”, visto che la formazione necessita di tempo, di impegno e di fatica, ma che quando si paga si ha un po’ la pretesa di “essere accontentati”?
Quando si sceglie per i propri figli, ognuno sceglie per quello che ritiene il loro bene, ma in un sistema in competizione, i “consigli” e gli orientamenti, saranno davvero in grado di evitare che alcuni figli di avvocati o di medici possano trovare autonomamente la loro strada, senza essere obbligati ad iscriversi al liceo classico, arrivando a diplomarsi o a laurearsi dopo aver sperimentato scuole e corsi privati pagati “a peso d’oro”? O, al contrario, la competizione potrà evitare che i figli di migranti o di casi sociali arrivino a malapena alla fine dell’obbligo, perché non hanno sufficienti supporti esterni, anche se sarebbero in grado di proseguire gli studi?
La LIBERTA’ <….. non è star sopra un albero ….. o il volo di un airone…..>, e, per me, non è nemmeno il liberismo personalizzato e solitario dell’impostazione formativa lombarda.
Io credo che sia l’applicazione della nostra Costituzione che garantisce libertà e pari opportunità, quando dice che <…la Repubblica deve garantire a tutti la formazione adeguata …. e che i capaci e i meritevoli…> vanno supportati e avvantaggiati. Quale migliore sintesi tra diritti e merito?

Costi della Scuola Pubblica
La mia opinione è che si enfatizzino sempre troppo certi dati sulla Scuola, per dimostrare, da destra, che il sistema è inadeguato e non è sostenibile, giustificando così cambiamenti e tagli. Contemporaneamente la sinistra, a volte, sembra che abbia l’obbligo morale di sostenere l’italica esterofilia.
Credo invece che se ci facessero analisi serie (magari da delegare alle Università da parte delle Autorità Locali), comparando davvero dati simili e partendo dagli stessi presupposti, probabilmente non continueremmo a mettere insieme le famose “capre con i cavoli”, che tutti utilizzano per dimostrare ciò che fa più comodo.
1) Per esempio l’Italia sembra avere l’incidenza più bassa della spesa dell’Istruzione sul Pil, rispetto agli altri paesi europei. Poi diciamo che i nostri costi per la Formazione sono insostenibili (e bisogna privatizzare)!
2) Oppure ci si scandalizza perché oltre il 90% della spesa per l’Istruzione viene utilizzata per le retribuzioni del personale che, peraltro, in Italia risulta avere stipendi più bassi che in Europa. Ma lo scandalo dovrebbe essere che in Italia si spende solo per pagare il personale e manca qualsiasi investimento sugli strumenti di lavoro, sulla ricerca, sugli edifici, ecc; persino la formazione e gli aggiornamenti sono pagati dagli insegnanti volonterosi e non rientrano nella spesa formativa.
3) Anche quando si confrontano gli stipendi degli insegnanti tra i vari paesi, però, bisognerebbe che il calcolo si facesse tenendo conto del costo della vita, delle garanzie e della sicurezza del lavoro, dell’orario, delle carriere, degli obblighi di servizio, dei diritti/doveri ……., altrimenti si continua solo a fare populismo ed esterofilia.
4) Veniamo all’annosa questione della percentuale di alunni per classe (premesso che personalmente ritengo che una seria e sana rete scolastica come previsto dalla legge dell’Autonomia sarebbe un “atto dovuto” che creerebbe maggiore qualità ed efficacia): non si tengono minimamente in conto le differenze tra tempi lunghi e tempi brevi, ma soprattutto non si calcola assolutamente il costo dell’inserimento dei disabili. Questa scelta, oltre ad essere un segno di civiltà e di qualità educativa e sociale che qualche paese europeo sta cercando di imitare, ha costi che negli altri Stati non appaiono, perché vengono calcolati sotto altre voci nel campo sociale, sanitario, assistenziale. Questi costi pare che siano altissimi, probabilmente molto più alti dei nostri, ma è possibile studiare i dati?
5) L’esercito degli insegnanti italiani di Religione Cattolica fa media?
6) In altri paesi sono previsti i costi per il mantenimento o per i prestiti ai giovani studenti per permettere la formazione a tutti. Costi che da noi non esistono o sono risibili.
7) In alcune Regioni d’Italia, come la nostra, gli Enti Locali investono moltissimo sulla Scuola per strutture e strumenti scolastici, per laboratori e ricerca, persino per gli insegnanti di Scuola dell’Infanzia. Come viene calcolato tutto ciò?
La sensazione è che si facciano analisi senza “contare le stesse cose”.
A me piacerebbe avere un quadro realistico dei costi, per un confronto vero, libero, per compiere analisi chiare e trasparenti, senza il tentativo di dimostrare ciò che fa comodo o che è coerente con una tesi o con l’altra.
Fino a prova contraria (e sarei grata a chi mi dimostrasse il contrario), rimango dell’idea che la Scuola Pubblica (non solo statale, ma anche quella degli EELL) costi meno della Scuola Privata, anche a parità di prestazioni.
Infatti nei paesi che hanno sistemi misti o prevalentemente privati, i costi per la Formazione appaiono più alti, a volte anche di parecchio. La differenza di costo è dovuta a migliore qualità ed efficienza, o al fatto che il privato produce costi più alti?
E rispetto al diritto universalistico all’Istruzione, il privato lo garantisce meglio, allo stesso modo o peggio? Obama vuole allargare il Sistema Formativo Pubblico in America. E’ un visionario?
Io credo che in Italia dovremmo ricostruire un Sistema Formativo Pubblico basato sull’Autonomia Scolastica e su un Federalismo intelligente.

Tempo Scuola
Sono una grande sostenitrice dei tempi scuola lunghi, almeno da 1 a 11 anni.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado (a parte che andrebbe rivisitato il sistema), il tempo scuola uguale per tutti potrebbe attestarsi sulle 33 ore settimanali, più eventuali arricchimenti opzionali, approfondimenti e recuperi, visto che i ragazzi sono più grandi e che per una formazione efficace servono anche tempi di studio individuali.
La scuola Superiore, poi, potrebbe avere un tempo per tutti di circa 30 ore aumentando, però, i tempi flessibili con percorsi e piani di studi più individualizzati, da scegliere sulla base di interessi, attitudini e prospettive di lavoro dei ragazzi.
Spesso si sente dire che i tempi scuola sono ininfluenti rispetto agli esiti scolastici, magari perché si confrontano paesi diversi senza minimamente tenere in considerazione le storie locali e i contesti sociali dove si realizzano.
In alcuni paesi infatti l’orario scolastico è relativamente breve, ma vi è un livello culturale mediamente alto, le opportunità formative e ricreative sono diffuse e l’analfabetismo non esiste da secoli.
In Italia, invece, dove gli investimenti culturali sono bassissimi e dove il livello di analfabetismo nel dopoguerra era elevatissimo, sono stati fatti sforzi immani per recuperare il gap nel corso degli ultimi 50 anni del secolo scorso.
In quegli anni sono stati studiati e attuati sistemi e metodi realmente innovativi ed efficaci per migliorare la formazione e attuare il mandato costituzionale di equità e scolarità.
Il processo ha avuto grande valore progettuale e originalità tutta italiana. Nidi, Scuole dell’Infanzia, tempi scolastici lunghi, sperimentazioni, tempi distesi per attività laboratoriali che favoriscono l’apprendimento attraverso l’esperienza, …. hanno cambiato il nostro Sistema Formativo, soprattutto dove è stato attuato correttamente, come nel Nord e in Emilia Romagna.
Fra l’altro questo sistema, se fosse applicato ovunque, sarebbe perfettamente coerente con le indicazioni dell’Unione Europea che chiede competenze e non solo conoscenze.
Probabilmente non serve una scuola di 8 ore al giorno in una società dove i genitori sono alfabetizzati da secoli, dove libri e giornali hanno una diffusione alta, dove le televisioni forniscono una pluralità di opportunità, dove teatri, attività culturali per adulti e bambini non sono eventi eccezionali o per un’elite, e dove il lavoro dei genitori ha garanzie economiche e tempi diversi dei nostri.
Ma in Italia si taglia sulla cultura e le opportunità, soprattutto per i bambini, sono scarsissime, fra l’altro con enormi differenze territoriali.
In Emilia Romagna e generalmente al Nord, l’unica vera rete extrascolastica è quella sportiva, ma per quanto la percentuale di frequenze sia elevata, è ben lontana dal coprire la totalità dei ragazzi, con forti differenze tra città e periferie, tra bambini che hanno nonni e beby sitter e quelli che non ce l’hanno: perché i bambini vanno anche accompagnati, mentre per andare a scuola ci sono gli scuolabus.
In questa situazione, le scuole dei tempi distesi forniscono in modo universalistico formazione accessibile a tutti, ma anche opportunità che diversamente non sono disponibili per tutti nel contesto sociale: sport, arte, musica, …..
E sono convinta che se si facessero bene i conti, i costi non sarebbero più alti di quelli di altri Sistemi Formativi. Inoltre per comparare davvero costi ed esiti formativi tra Paesi Europei –sempre che si aspiri ad una formazione per tutti in grado di creare futuro e benessere- andrebbero calcolati molti alti costi sociali e culturali che in Italia sono scarsissimi, soprattutto per l’infanzia e l’adolescenza.

Negli ultimi 10 anni, invece è stata fatta una politica unilaterale per ridurre il servizio scolastico per molti ed eventualmente garantire eccellenze per pochi. Ma ciò porterà ad un ulteriore arretramento sociale, economico, culturale e del benessere complessivo; aumenterà l’analfabetismo di ritorno e l’analfabetismo sia tra la popolazione immigrata, sia tra le fasce sociali che stanno impoverendosi.
Altro che competizione globale!