lunedì 20 dicembre 2010

Per un sistema integrato delle scuole d’infanzia statali e paritarie. Nuovi appunti

Gabriele Ventura

La situazione e la prospettiva a livello nazionale
La gestione a regime della legge di parità (legge n. 62/2000) prevede che le scuole di ogni ordine e grado siano distinte in scuole statali, scuole paritarie (gestite da comuni e/o privati) e scuole private. L’insieme delle prime due tipologie di scuole definisce a tutti gli effetti il sistema nazionale di istruzione come sistema pubblico integrato.
Nel corso degli anni 2007 e 2008 sono stati definiti i regolamenti attuativi previsti dalla legge di parità e procedure e modalità di documentazione per la richiesta e/o il mantenimento della qualifica di scuola paritaria (D.M. n. 267 del 2007 e Nota del MIUR Prot. 4872 del 19-2-2008).
Alla definizione precisa della normativa in campo ordinamentale non corrisponde però a tutt’oggi né una adeguata politica di sostegno economico da parte governativa e ministeriale, né una adeguata capacità di gestione complessiva a livello locale da parte della amministrazione scolastica. Questo dato emerge in modo macroscopico nel segmento ordinamentale relativo alle scuole d’infanzia nell’ambito del quale il sistema pubblico allargato di offerta di servizio (costituito da scuole statali e scuole paritarie) copre oltre il 90% dell’utenza potenziale e la quota di servizio coperta dalle scuole paritarie su scala nazionale rappresenta il 41% dell’offerta complessiva (Fonte Miur , dato aggiornato all’a.s. 2008/09)
Questo dato di fatto è riscontrabile oggettivamente nelle modalità ancora del tutto autoreferenziali di programmazione e organizzazione della rete scolastica, di gestione dei bandi di iscrizione e delle liste di attesa, nonché nella determinazione degli organici della scuola d’infanzia statale e nella programmazione annuale dei posti disponibili per l’accesso ai Corsi di Laurea in Scienze della Formazione Primaria.
Perfino le modalità di rilevazione e di elaborazione dei dati inerenti l’offerta di servizio e le modalità di funzionamento delle scuole d’infanzia afferenti al sistema nazionale di istruzione risultano del tutto inadeguate in vista dell’obiettivo di una gestione complessiva del sistema integrato, ma addirittura per una sua corretta descrizione.
Gli ultimi dati dettagliati e distinti per tipologie di gestione delle scuole non statali disponibili risalgono infatti all’a.s.2000/2001 (Rilevazioni dell’ Ufficio statistico del Miur) cioè ad una epoca precedente alla prima attuazione effettiva della legge di parità che come è noto si sviluppò con l’attribuzione della qualifica di scuola paritaria alle scuole che ne avevano fatto richiesta con il Decreto del 28-2-2001.
Del resto sono ferme al livello stabilito nel 2000 le modalità (burocratiche) e il livello (modesto) di sostegno economico al sistema delle scuole paritarie (cfr. Decreto Ministeriale n. 89 del 4-11-2009). In realtà una cronaca precisa dell’andamento dei contributi alle scuole d’infanzia paritarie nel decennio appena trascorso registrerebbe un movimento oscillatorio tendente al ribasso e una cronica tendenza a all’incertezza delle erogazioni annuali. Ad oggi (autunno 2010) ad esempio non sono stati ancora saldati i contributi alle scuole d’infanzia paritarie previsti per l’a.s. 2009-10 (per un valore pari al 25% dei contributi erogati nell’anno scolastico precedente), mentre si profila per il 2011 a norme finanziarie invariate addirittura una riduzione del 40% dei contributi
erogati nell’a.s. 2008/09.
Si consideri per altro che:
- l’andamento demografico registra proprio dal 2000 in poi in tutte le regioni del nord e del centro una tendenza consolidata all’aumento della utenza potenziale (cosa che dovrebbe costituire un debito istituzionale nell’ottica della generalizzazione nella prospettiva stabilita dalla legge 53/2003);
- da almeno 2 anni a questa parte è invece sostanzialmente stabile (in realtà è in leggero calo su scala nazionale per un totale di circa 600 posti in organico di diritto) il numero complessivo dei posti di scuola materna statale (vedi Indagine Tuttoscuola Focus di luglio 2010);
- nelle circolari ministeriali inerenti gli organici degli ultimi 2 anni si argomenta la non priorità nella destinazione delle risorse disponibili alla scuola d’infanzia con il carattere non obbligatorio della medesima;
- nelle regioni del centro e del nord (tutta la Lombardia, il Veneto e l’Emilia più metà di Piemonte Toscana, Liguria e Friuli), la presenza del servizio di scuola materna statale è inferiore al 50% dell’offerta di servizio complessiva (n.b. in molti casi nei capoluoghi di provincia di Lombardia, Emilia e Veneto la quota di servizio statale oscilla fra il 20% e il 30% del totale).
- l’offerta di servizio di scuola d’infanzia paritaria è promossa e gestita da una pluralità di soggetto gestori pubblici e privati (prevalentemente soggetti del terzo settore di area cattolica e comuni, ma anche altri enti pubblici) e rappresenta un esempio concreto e consolidato nel tempo di sussidiarietà, autonomia e decentramento gestionale del sistema scolastico.
- i criteri di erogazione dei contributi ministeriali sono i medesimi sia per le scuole d'infanzia paritarie gestite da soggetti pubblici e privati che per quelle gestite dai Comuni.
- gli effetti di una siffatta gestione (a dir poco miope) della legge di parità rischia di mettere a repentaglio il comparto delle scuole d’infanzia paritarie e/o di ricaricare sulle famiglie frequentanti i costi derivanti da una riduzione dei contributi ministeriali in modo ingente e in tempi di crisi economica generale con buona pace dei discorsi sulla riforma del welfare in senso solidaristico.
Possiamo concludere senza timore di smentite che si tratta di uno scenario che presenta troppe contraddizioni in una volta sola, alcune francamente insostenibili in linea di diritto e di fatto.
Ciononostante qualcuno ritiene di dover riproporre nel dibattito pubblico polemiche tanto arcaiche nel contenuto quanto improprie nel merito intorno alla legittimità del “finanziamento pubblico” (sic!) alle “scuole private” (sic!), a dispetto dei dati di realtà e anche del fatto che nel periodo 1995-2010 vari ricorsi ai Tar, alla Corte Costituzionale e perfino referendum abrogativi di leggi regionali (Friuli 2001) non abbiano sortito effetto alcuno.
La situazione e la prospettiva a livello locale
Per quanto riguarda i problemi e la prospettiva delle scuole d’infanzia paritarie a gestione comunale (il fenomeno riguarda almeno 300 comuni in Italia di varie dimensioni e non solo i comuni capoluogo di provincia che in Italia sono ad oggi 109 per un totale di circa 1450 scuole e 5500 sezioni) ci riserviamo di approfondire in una occasione successiva.
Per quanto riguarda le scuole d’infanzia a gestione privata laica e/o religiosa (il fenomeno riguarda circa 8000 scuole e 23.000 sezioni in Italia) in molte realtà locali del centro e del nord la pratica di accordi convenzionali fra comuni e scuole d'infanzia paritarie a gestione privata si è diffusa ampiamente ancora prima della approvazione della legge di parità.
Dopo la approvazione della legge di parità si pone l’opportunità di definire più chiaramente una prospettiva di integrazione fra la gestione di questa e delle convenzioni locali.
Bisogna dire subito che l’istituzione di un sistema di rilevazione e monitoraggio su scala regionale ma diffuso in modo sistematico a livello nazionale su questo aspetto ancora oggi non esiste, mentre sarebbe fortemente auspicabile.
E’ possibile comunque delineare una duplice opzione metodologica circa la evoluzione della destinazione dei contributi previsti nelle convenzioni locali nei termini seguenti:
1) opzione A: erogazione di contributi secondo un principio di complementarietà, originalità e distinzione individuando fattori di costo e destinazioni non contemplate dai contributi statali;
2) opzione B: erogazione di contributi secondo un principio di sussidiarietà, omogeneità e proporzionalità addizionale integrando le quote dei contributi ministeriali fino a una percentuale definita sulla base di una valutazione di opportunità/equità rispetto ad un costo standard di gestione per sezione definito secondo parametri condivisi.
Premessa utile e opportuna per una riflessione sistematica a questo proposito sarebbe la definizione da parte del Ministero di nuove regole per l'erogazione dei contributi previsti dalla legge di parità, previa sottoscrizione di un auspicabile Protocollo di intesa fra ANCI e FISM nazionali da un lato e Ministero dall'altro. In questo ambito si potrebbe definire una diversa ratio di destinazione dei contributi rispetto a quella vigente, magari valutando l’opportunità di definire l'obiettivo a regime di una quota percentuale massima di copertura dei costi di gestione effettivi delle scuole d'infanzia paritarie, secondo l’individuazione di un costo standard e un meccanismo di attuazione progressiva rispetto all'obiettivo stabilito su base pluriennale.
Il Decreto 34/2009 invece ha sostanzialmente ha ribadito per gli anni successivi i criteri previgenti: una quota per scuola (pari al 20% del fondo complessivo) e una quota per sezione (pari all’80% del fondo complessivo) del tutto svincolati da una analisi di costi standard e di qualunque prospettiva.
Resta l’opportunità di articolare ipotesi attuative anche in vista di possibili sviluppi a medio termine del quadro normativo di riferimento in materia. Merita segnalare che criteri distributivi e i parametri quantitativi per l’erogazione dei contributi ad oggi scontano il fatto che, al di là delle traversie finanziarie degli ultimi anni, non è nemmeno previsto un meccanismo di adeguamento della quota di bilancio del Miur in ragione del numero effettivo di scuole e sezioni paritarie.

In Emilia Romagna per l’a.s. 2008/09 l’entità dei contributi ministeriali registra una quota per scuola paritaria pari a 7.250 euro ed una quota per sezione pari a 10.127,90 euro (Decreto Usr n.112/2009), a fronte di una stima del costo complessivo annuo per sezione corrispondente a un assetto organizzativo di 2 insegnanti a tempo pieno e 0,5 ausiliari, pari ad almeno 54.000 euro/anno, al netto dei costi di funzionamento (cfr. Ccnl Fism- Cgil/Cisl/Uil 2006-2009). E’possibile stimare che il contributo ministeriale previsto in finanziaria 2009, avrebbe potuto raggiungere in questa prospettiva una quota per sezione pari a circa 15.000 euro/anno. A medio termine l’obiettivo della copertura complessiva del 50% dei costi sostenuti dai gestori (attraverso l’insieme dei contributi pubblici nazionali e locali), con una soglia oscillante fra 20.000 e 25.000 euro in relazione ad aumenti dei costi standard nel periodo, sembrerebbe realistico ed opportuno.

Ipotesi di lavoro
Le convenzioni locali fra comuni e scuole d’infanzia paritarie a gestione privata possono configurarsi come accordi di programma definiti bilateralmente, nell'ambito dei quali l'erogazione di contributi può essere finalizzata alla realizzazione di obiettivi di interesse comune (anche non esplicitamente contemplati dalla legge di parità, ma di utilità generale) concordati fra le parti con l’obiettivo di dare piena attuazione alle politiche per il diritto allo studio e allo sviluppo di una reale capacità di governo territoriale dell’offerta complessiva di servizio scolastico da parte del sistema delle autonomie locali e dell’amministrazione scolastica decentrata.
Le ragioni di scambio alla base degli accordi bilaterali fra comuni e scuole paritarie private potrebbero prevedere infatti condizioni di vario tipo coerenti con la prospettiva di generalizzazione dell’offerta di servizio scolastico su base territoriale omogenea (comunale e/o intercomunale) ed efficaci rispetto alla riduzione dei costi sostenuti dalle famiglie (interventi per l’accesso) e con obiettivi di qualificazione dell’offerta formativa complessiva di tutte le scuole appartenenti al sistema nazionale di istruzione (interventi per la qualificazione).
Per quanto riguarda la integrazione fra le diverse tipologie di gestione presenti sul territorio in vista di un rapporto virtuoso rispetto alla evoluzione della domanda potrebbero essere incentivate forme efficaci di coordinamento delle procedure di iscrizione e di gestione delle liste di attesa e dei posti vacanti in corso d'anno fra amministrazione scolastica e soggetti gestori di scuole paritarie.
Per quanto riguarda la qualificazione dell'offerta formativa complessiva potrebbero essere individuati servizi di supporto integrati (ad es. in ordine alla documentazione delle attività educative e didattiche e alla formazione del personale) e progetti di particolare rilevanza strutturale (ad es. l’istituzione di forme di coordinamento pedagogico).
Per quanto riguarda il contenimento dei costi per le famiglie potrebbe essere incentivata la introduzione di sistemi di tariffazione differenziata da parte delle scuole in relazione alla capacità economica delle famiglie (ad es. attraverso l’utilizzo dell’indicatore Isee del reddito familiare). Esperienze di questo tipo sono state praticate negli anni scorsi in vari comuni.
In merito alla prospettiva alternativa (?) di erogazione di contributi economici alle famiglie occorre segnalare che la sentenza n. 423/2004 della Corte Costituzionale ha abrogato i contributi ministeriali diretti alle famiglie previsti dalla legge finanziaria del 2003, ricadendo questo tipo di intervento nell’ambito del diritto allo studio che è materia di competenza regionale. Interventi di questo tipo sono stati già attuati in 9 diverse regioni con riferimento però solo alla scuola dell'obbligo e al primo anno della scuola secondaria.

Gli interventi collaterali relativi al diritto allo studio In questa prospettiva gli interventi ordinari di qualificazione dell'offerta formativa previsti nell’ambito specifico del diritto allo studio a livello regionale, provinciale comunale (in relazione ai bisogni emergenti in un dato territorio) dovrebbero conservare un profilo autonomo e collaterale di iniziativa e di gestione da parte dei Comuni rispetto alla definizione dei contenuti delle convenzioni e alle destinazioni degli eventuali contributi ivi previsti.
Allo stesso modo sembrerebbe coerente escludere dall’ambito specifico dei contributi da convenzioni locali i contenuti e le destinazioni di eventuali fondi regionali specificamente dedicati alla realizzazione di progetti migliorativi di carattere strutturale (es. il contributo per l'attivazione del coordinamento pedagogico previsto dalla legge regionale dell' Emilia Romagna a favore delle Associazioni maggiormente rappresentative delle scuole paritarie private).
Infine dovrebbero permanere a latere delle convenzioni le destinazioni dei contributi del diritto allo studio erogati dai comuni come interventi individuali per la facilitazione dell'accesso al sistema di istruzione (servizi o contributi per l'assistenza handicap, contributi in luogo delle refezione scolastica, ecc.).

ALLEGATI

Tabella 1 - Scuola non statale (paritaria e privata)
Elenco delle principali fonti normative


Costituzione italiana: Articoli 33 e 34

T.U. Leggi sulla scuola – Decreto Legislativo n. 297/1994 e successive modificazioni – Titolo VIII

Legge 10 marzo 2000, n. 62 – Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione

Legge 3 febbraio 2006, n. 27 – Norme in materia di scuole non statali

Decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 267 – Regolamento relativo a Riconoscimento, mantenimento e revoca della parità scolastica

Decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 263 – Regolamento relativo a Inclusione e mantenimento delle scuole non paritarie nell’elenco regionale

Decreto Presidente della Repubblica 9 gennaio 2008, n. 23 – Regolamento per le Convenzioni con le scuole primarie paritarie

Decreto ministeriale 10 ottobre 2008, n. 82 – Linee guida di attuazione Regolamento per gli elenchi regionali

Decreto ministeriale 10 ottobre 2008, n. 83 – Linee guida di attuazione Regolamento per conferimento parità

Decreto Ministeriale n. 34/2009 – Criteri e parametri per l’erogazione dei contributi alle scuole paritarie

Leggi regionali sul diritto allo studio




Tab. 2 Scuole infanzia statali e non statali a.s. 2000-01 – Situazione nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti


TIPOLOGIA SCUOLE INFANZIA NUMERO SCUOLE NUMERO SEZIONI PERCENTUALE

SCUOLE NON STATALI
GESTITE DA COMUNI E/O ENTI PUBBLICI 1.687 5.698 13,85

SCUOLE NON STATALI
GESTITE DA ENTI PRIVATI LAICI 1.816 3.810 9,26

SCUOLE NON STATALI
GESTITE DA ENTI RELIGIOSI 2.499 6.169 14,99

SCUOLE STATALI 7.240 25.464 61,89
TOTALE SCUOLE INFANZIA 13.242 41.141 100,00


Tabella 3 - Scuole d’infanzia statali e paritarie – Situazione nazionale a.s. 2007/08 - Fonte Tuttoscuola

SCUOLE INFANZIA DI CUI ALLA LEGGE 62/2000
Totale STATALI PARITARIE DI CUI COMUNALI
22.918 13.652 9.266 1.445
59,6% 40,4% 15,6%

Dalle politiche per il diritto allo studio al sgoverno territoriale del sistema formativo.

Gabriele Ventura

Il diritto allo studio: dagli indirizzi costituzionali alle legislazioni regionali
Gli articoli 3,9,33,34 della Costituzione italiana forniscono principi che, intrecciati con le funzioni individuate in capo alle regioni (artt. 117 118 e seguenti), determinano un quadro sufficientemente chiaro di riferimento per l'attuazione delle politiche per il diritto allo studio di regioni ed enti locali. Per via di legislazione ordinaria sono stati poi definiti più precisamente competenze e contenuti specifici, nel corso degli anni ‘70 (Legge 382/75 e DDL 616/77) e poi degli anni ’90 (Legge 59/97 e D.Lgs. 112/98).
Alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000 sono state poi approvate norme di grande rilievo in ordine alla struttura istituzionale, alla architettura curricolare e ai meccanismi gestionali del sistema formativo e scolastico: autonomia scolastica (Dpr n. 275/99), innalzamento del diritto-dovere di istruzione, riordino dei cicli dell'istruzione (prima Legge 30/2000 e poi Legge 53/2003 e relativo Decreto attuativo n.59/2004), parità scolastica (legge 62/2000). Queste norme hanno istituito nuovi elementi strutturali di contesto (es. gli istituti comprensivi e i Piani dell’offerta formativa, il curricolo locale) che ridisegnano la cornice in cui collocare gli interventi per il diritto allo studio.
Infine occorre segnalare l’approvazione parlamentare nel maggio del 2009 della delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale secondo quanto stabilito dall'art.119 della costituzione (cfr. legge n.42/2009).
In questo quadro diventa logico prevedere la necessità di una revisione delle legislazioni regionali vigenti e possibilmente anche l’emanazione di una legge nazionale di indirizzo (tuttora inesistente..) allo scopo di definire alcuni livelli essenziali di prestazione anche in questo campo.
Il panorama nazionale in ordine alla legislazione regionale vigente in materia di diritto allo studio si presenta quanto mai variegato. Esistono regioni che hanno legiferato fin dall’inizio del processo di decentramento e poi hanno aggiornato le norme nel corso dei decenni successivi in relazione alla evoluzione del quadro normativo inerente la scuola e i servizi sociali ed altre che invece non hanno prodotto nulla di simile. Tutte le regioni risultano aver approvato una legge di settore ma la consultazione della tabella riportata in appendice dà conto del fatto che solo un numero ridotto di esse ha provveduto ad aggiornare le norme dopo il 2001 e cioè dopo la revisione del Titolo V e l’approvazione della legge di parità. Emilia Romagna e Lombardia rappresentano in questo senso un esempio virtuoso di iniziativa e di sperimentazione di pratiche innovative.
La legislazione regionale per il diritto allo studio
A partire dall’inizio degli anni ‘80 due concetti chiave hanno rappresentato il cuore della legislazione regionale più qualificata in materia: il concetto di facilitazione all’accesso al sistema scolastico e il concetto di qualifica¬zione dell’offerta formativa.
Questi due principi hanno costituito ad esempio gli elementi fondativi dell’impianto della prima legge regionale emiliana sul diritto allo studio approvata dopo i decreti delegati degli anni 70 (L.r. n.6/83) e sono stati in seguito sostanzialmente confermati nelle revisioni approvate nel corso degli anni novanta e nei primi anni del 2000 (l.r. n.52/95 e l.r. n. 26/2001).
Il combinato disposto delle due leggi regionali approvate in Emilia dopo la riforma del Titolo V (L.r.n. 26/2001 e n.12/2003) ha realizzato una prima sistemazione dell'intera materia nel nuovo quadro normativo. ma i poteri attribuiti alle Regioni dalle norme vigenti in materia di programmazione e gestione della rete scolastica, di miglioramento dell'offerta formativa, di erogazione dei contributi alle scuole non statali sono di più ampia portata strutturale.
Anche il quadro normativo regionale su riferito pertanto dovrebbe ora essere ulteriormente precisato ed ampliato nella prospettiva di una assunzione progressiva delle funzioni di governo complessivo su base territoriale del sistema nazionale di istruzione da parte delle Regioni prefigurato prima dall’art.139 del D.Lgs. 112/98, poi dalla sentenza n. 213 /2004 della Corte Costituzionale.
E’ da segnalare inoltre come anche alcuni orientamenti di politica scolastica di carattere generale ampiamente condivisi relativi ad es. alla diffusione degli istituti scolastici comprensivi e alla costituzione di reti di scuole per ambiti territoriali omogenei che sono connessi alla piena attuazione dell’autonomia scolastica oppure relativi alla formulazione di adeguati indirizzi per la elaborazione dei Piani dell’offerta formativa, attraverso una corretta pratica della quota del curricolo locale previsto dalla normativa vigente nella misura del 20% del monte ore stabilito per i diversi ordini di scuola a livello nazionale, implicano un adeguamento delle pratiche fin qui consolidate.
Un possibile punto di snodo concettuale in vista di una siffatta elaborazione progettuale consiste nello sviluppo del duplice significato del concetto di diritto allo studio e delle pratiche pubbliche che da questo sono state variamente derivate nella legislazione regionale:
- Diritto allo studio come diritto soggettivo individuale (prevalentemente nel campo dell'accesso al sistema scolastico)
- Diritto allo studio come interesse legittimo collettivo (prevalentemente nel campo della qualificazione dell’offerta formativa scolastica ed extrascolastica).
L’aggiornamento di questo approccio di tipo binario nella attuazione delle politiche per il diritto allo studio rappresenta dunque un terreno fertile di ricerca sul piano tecnico e amministrativo. Appare anche evidente che l'esistenza o meno di un adeguato apparato tecnico gestionale a livello locale costituisca uno degli snodi strategici determinanti per approfondire con qualche possibilità di successo le sfide che si pongono sul piano della progettazione, della gestione, della concertazione con i vari attori sociali e istituzionali presenti nel territorio e interagenti come destinatari e interlocutori in questa prospettiva.
Una iniziativa di livello regionale per la istituzione di forme stabili di consulenza e di coordinamento pedagogico in tutte le tipologie di gestione di scuola d’infanzia (comunale, paritaria privata e statale) e/o di funzioni di raccordo e sostegno per una attuazione qualificata dei Piani di zona previsti dalla legge 328/2000 costituisce un elemento di tipo strategico in questo senso.
E’ poi possibile distinguere nell'azione pubblica nel campo del diritto allo studio due tipologie: servizi e interventi, due ambiti: scuola ed extra scuola e due finalità: accesso e qualificazione.
Le tipologie di intervento: servizi e interventi
Entrambe le tipologie di azioni possono riguardare sia l'accesso che la qualificazione del sistema scolastico e formativo. Si distinguono per il grado di complessità e la caratterizzazione (individuale o collettiva) dei destinatari.
Per quanto riguarda la tipologia "interventi" si tratta per lo più di iniziative a prevalente contenuto finanziario e a destinazione prevalentemente individuale. Derivano dal concetto di "provvidenze” esplicitato nell'art. 42 del DL. 616. Riguardano borse di studio, trasporto scolastico, refezione, prolungamenti di orario nella scuola dell'obbligo, fornitura dei libri di testo, ausili e sussidi didattici particolari. Sono interventi obbligatori e sono riscontrabili in tutti i comuni capoluogo della regione. Alla stessa categoria di azioni appartiene l'assistenza per l'integrazione dell'handicap in derivazione della legge 104/92 e degli accordi di programma provinciali applicativi. Sono interventi che vengono svolti per tramite personale esterno (cooperative, associazioni) oppure per tramite di personale interno (educatori comunali).
In alcuni altri casi si riscontrano elementi di complessità organizzativa derivata dalla necessità di prevedere modalità di gestione di servizi che, pur essendo attivati a domanda individuale, hanno un carattere collettivo (trasporto scolastico, refezione scolastica, prolungamento di orario). In questo caso l'intervento finanziario si trasforma in servizio a tutti gli effetti. E' il caso dei comuni medio grandi con particolare riferimento ad es. al servizio di refezione scolastica, a volte attivato con proprio personale e propri centri di produzione pasti o in regime di gestione esterna.
Nei piccoli comuni persiste con maggiore frequenza la modalità di gestione diretta del servizio di trasporto scolastico collettivo (attraverso l’utilizzo di scuola bus) rispetto a quanto accade nei comuni di maggiore dimensione dove prevale di norma la gestione esternalizzata.
Gli ambiti di intervento: scuola ed extra scuola
L'individuazione del più ampio sistema formativo (scolastico ed extra scolastico) come ambito di destinazione delle politiche per il diritto allo studio ha costituito la chiave di volta dell'impianto culturale e della gestione amministrativa di tutti i programmi regionali, provinciali e comunali negli ultimi 25 anni nel campo del diritto allo studio.
Alla tradizionale attività dei servizi estivi si sono aggiunti strada facendo interventi per le qualificazioni delle aree verdi, per l'utilizzo in orario extrascolastico degli spazi scolastici, interventi di prevenzione, animazione e socializzazione rivolti ai preadolescenti e agli adolescenti.
In questa prospettiva è evidente che l’integrazione delle politiche per il diritto allo studio, con le politiche sociali, le politiche di promozione culturale, di sostegno dell'associazionismo e del volontariato, di orientamento scolastico e professionale costituiscono il nucleo di una sfida per la qualità dell'azione pubblica tanto più in un quadro di trasformazione continua dello sfondo sociale e di innovazione negli assetti istituzionali dello stato in senso federalista.
Le finalità di intervento: accesso e qualificazione.
L'estensione del significato del termine diritto allo studio da una origine esplicitamente assistenziale a un contenuto promozionale e qualitativo ha variamente orientato le scelte di tutte le regioni e le amministrazioni locali nell’ultimo ventennio.
I servizi e gli interventi per l'accesso previsti dalle leggi regionali sul diritto allo studio hanno rappresentato nel tempo la continuità e la qualificazione di un sistema di provvidenze consolidate (refezione e trasporti scolastici, forniture gratuite dei libri di testo agli alunni disagiati, servizi integrativi dell'orario scolastico, borse di studio per gli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, fornitura gratuita di sussidi didattici e ausili per gli alunni handicappati, ecc.) ed altre di più recente definizione normativa (legge 104/92 per l’integrazione scolastica e sociale degli alunni handicappati) estendendone i benefici (in quanto corrispondenti a diritti soggettivi individuali) agli alunni delle scuole private, attraverso la verifica dei requisiti delle condizioni di diritto dei singoli.
In questo ambito sarebbero da verificare alcuni elementi significativi di carattere strutturale nelle politiche regionali per il diritto allo studio.
Per quanto riguarda la programmazione ad esempio occorrerebbe verificare se le procedure attuative prevedono o meno piani triennali di indirizzo e piani annuali di gestione, un ruolo di promozione e di coordinamento da parte delle Province in fase di erogazione.
Per quanto riguarda la gestione occorrerebbe verificare l’esistenza o meno di parametri quantitativi per quanto riguarda l’erogazione dei fondi per l’accesso destinati ai Comuni nonché le modalità di distribuzione dei fondi per la qualificazione dell’offerta formativa (emanazione di bandi per la presentazione di progetti specifici da parte delle scuole oppure distribuzione automatica per criteri oggettivi riferibili alla popolazione scolastica, esplicitazione o meno di indirizzi di contenuto prioritari, incentivazione o meno della costituzione di reti di scuole su basi territoriali omogenea (es. ambiti corrispondenti ai distretti sanitari e sociali), distinzione o meno in fase di erogazione fra i fondi destinati alle scuole d’infanzia e primarie da quelli per le scuole secondarie, ampliamento dei destinatari a tutti i soggetti gestori di scuole statali e paritarie o meno.
Non è facilmente quantificabile l'ammontare complessivo delle risorse finanziarie destinate di fatto alle politiche per il diritto allo studio, posto che ai budget annualmente definiti dalle Regioni sui capitoli di gestione delle leggi regionali occorrerebbe aggiungere quota parte dei budget riferibili alla legislazione regionale sui servizi sociali in attuazione della legge 328/2000 nonché le poste di bilancio definite autonomamente dai Comuni sui propri bilanci.
Allo stesso modo non è ancora definibile (se non per stime approssimative) il volume degli operatori dedicati, attraverso la formula delle gare d'appalto o dell'assunzione diretta.
La costituzione di un osservatorio efficiente a livello regionale delle politiche di spesa e di analisi del rapporto obiettivi/risultati dell'azione pubblica costituisce certamente una esigenza prioritaria.
In vista di un obiettivo di efficacia dell'azione e della spesa pubblica complessiva sarebbe poi di fondamentale importanza poter inaugurare politiche di concertazione e di coordinamento fra Uffici Scolastici Regionali/Provinciali e Regioni/Province in ordine alla destinazione dei fondi per il diritto allo studio e di quelli ministeriali per la qualificazione dell’offerta formativa derivanti dalla legge 440/97 e da alcuni articoli del CCNL della scuola.



Tab. 1 - L'evoluzione delle politiche per il Diritto allo studio
Anni 50 e 60
Fase dei patronati scolastici
Fonti normative: Costituzione Repubblica Artt. 3 9 33 34 38 117 118

Anni 70
Fase dell'assistenza scolastica con delega agli Enti locali
Fonti normative: legge n.382 de 22/7/75; Dpr n. 616/77

Anni 80 e 90
Fase di una nuova concezione del Diritto allo studio
Fonti normative: varietà di leggi regionali (casi significativi: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto,Trento)

Anni 2000 -10
Fase attuale: persistente assenza di una legge quadro nazionale
- attuazione parziale deleghe agli enti locali previste dalla legge 59/97
- revisione parziale delle leggi regionali post approvazione della legge 2/2003
- Legge 59/97
- Decreto legislativo n. 112/98
- Legge costituzionale n. 2/2003
- Leggi regionali post leggi 59/97 e e 2/2003


Tab. 2 - Elenco leggi regionali sul diritto allo studio
REGIONI RIFERIMENTI LEGISLATIVI ANNO DI PRODUZIONE
TRENTINO BOLZANO Legge regionale n. 71 del 31 agosto 1974 1974
ABRUZZO Legge regionale n. 78 del 15 dicembre 1978 1978
BASILICATA Legge regionale n. 21 del 20 giugno 1979 1979
FRIULI VENEZIA GIULIA Legge regionale n. 10 del 26 maggio 1980 1980
LIGURIA Legge regionale n. 23 del 20 maggio 1980 1980
LOMBARDIA Legge regionale n. 31 del 20 marzo 1980 1980
PUGLIA Legge regionale n. 42 del 12 maggio 1980 1980
SARDEGNA Legge regionale n. 31 del 25 giugno 1984 1984
CALABRIA Legge regionale n. 27 del 8 maggio 1985 1985
VENETO Legge regionale n.31 del 2 aprile 1985 1985
TRENTINO TRENTO Legge regionale n. 29 del 9 novembre 1990 1990
LAZIO Legge regionale n. 29 del 30 Marzo 1992 1992
MARCHE Legge regionale n. 42 del 4 settembre 1992 1992
VALLE D'AOSTA Legge regionale n. 68 del 20 agosto 1993 1993
MOLISE Legge regionale n. 1 del 7 gennaio 2000 2000
EMILIA ROMAGNA Legge regionale n. 26 del 8 agosto 2001 2001
SICILIA Legge regionale n. 14 del 3 ottobre 2002 2002
TOSCANA Legge regionale n. 32 del 26 luglio 2002 2002
UMBRIA Legge regionale n. 28 del 16 dicembre 2002 2002
CAMPANIA Legge regionale n. 4 del 1 febbraio 2005 2005
PIEMONTE Legge regionale del 21 dicembre 2007 2007