venerdì 8 ottobre 2010

Una legge regionale per una società aperta allo scambio e alla reciprocità

Rosanna Facchini

In Emilia Romagna,è in vigore e pienamente operativa dal 2004, la L. R. n. 5 “Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati" ,nonostante l’ottusa opposizione del Consiglio dei Ministri che l’ha impugnata addirittura presso la Corte Costituzionale ( la sentenza n. 300 del 7 luglio 2005 infatti ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo!).
Si rimanda direttamente al testo della sentenza www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce che costituisce una significativa lezione di diritto costituzionale,facendo chiarezza anche di legislazione esclusiva e concorrente tra Stato e Regioni,dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, così i “federalisti “ al Governo magari imparano che, oltre all’invenzione coreografica della Padania, c’è di più.
La L. R. dell’Emilia Romagna, in particolare, prevede l’istituzione della Consulta regionale per l´integrazione sociale dei cittadini stranieri,un organismo, composto complessivamente da 34 persone (soggetti istituzionali, parti sociali, privato sociale, di cui 18 rappresentanti di cittadini stranieri,due per ciascun ambito provinciale, provenienti da 14 paesi differenti, più tre invitati permanenti) e le affida i seguenti compiti :
a) formulare proposte alla Giunta per l´adeguamento delle leggi e dei provvedimenti regionali alle esigenze che emergono nell´ambito del fenomeno migratorio;
b) formulare proposte e pareri sul programma triennale per l´integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati;
c) supportare l´attività dell´Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio.
La Consulta è stata insediata nel febbraio 2005 e nei suoi primi cinque anni di attività,fino al rinnovo dell’Assemblea Legislativa Regionale nel 2010,ha prodotto una serie significativa di iniziative,tra cui qui si intende evidenziare la promozione e l’attuazione di una ricerca sui mediatori interculturali operanti nel territorio regionale. Gli esiti di tale ricerca sono oggi disponibili tramite un apposito Report di ricerca: La mediazione interculturale nei servizi alla persona “Lingue,Culture,Mediazione”, per la cui lettura integrale si rimanda a www.emiliaromagnasociale.it .
Qui merita segnalare alcuni degli esiti più significativi della Ricerca.
La scelta di indagare proprio i protagonisti delle pratiche di mediazione interculturale risponde strategicamente ad una doppia esigenza:
• pervenire ad una definizione di profilo condiviso della figura del mediatore, al fine di individuarne i curricola formativi e gli ambiti di impiego,
• conoscere con la maggiore completezza e la migliore accuratezza possibili,come e dove vengono, oggi, agite le attività di mediazione interculturale e/o linguistico -culturale e chi ne sono i protagonisti,al fine di rendere praticabile l’obiettivo del piano triennale 2009-11 che pone proprio tali attività tra le azioni prioritarie di intervento regionale nell’ambito delle politiche di accoglienza e inclusione degli stranieri.
Del resto, al di fuori dell’Emilia-Romagna, la professione del mediatore, pur se chiamata in causa da più parti, è poco regolamentata e poco definita sia nei termini lessicali (si spazia dal mediatore culturale, a quello linguistico -culturale, interculturale, artistico –espressivo MEDIATTORE ,..ecc),sia nei contenuti e nelle modalità operative. La L.R. dell’E-R,al contrario, si cimenta in questo compito,identificando i mediatori come strumenti per “……individuare e rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale, allo scopo di garantire per i cittadini stranieri immigrati pari opportunità di accesso all’abitazione, al lavoro, all’istruzione ed alla formazione professionale, alla conoscenza delle opportunità connesse all’avvio di attività autonome ed imprenditoriali, alle prestazioni sanitarie ed assistenziali…” (art. 1 , comma 5, lettere e) e p) art. 13 comma 4).)
A livello nazionale,il T.U. sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998 e succ. modifiche)cita, senza specificarne i profili ed eventuali differenze, sia figure di “mediatori culturali” che di “mediatori interculturali”. In particolare si parla di mediatori culturali all’articolo 38, comma 7, con riferimento all’integrazione scolastica degli alunni stranieri ed alla facilitazione della comunicazione con le loro famiglie. I mediatori interculturali compaiono invece all’art. 42, tra le misure di integrazione sociale, laddove si prevede che gli Enti locali e territoriali possano “impiegare all’interno delle proprie strutture (…) stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi”. Nella scuola,almeno su piano pedagogico -organizzativo ,fa ancora testo la C.M n. 24,prot. n. 1148/A6 del 1 marzo 2006 “ Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri”,che suggerisce anche una serie di operazioni amministrative e relazionali di oggettivo “buon senso” istituzionale ,ma che non sa, e non può, andare oltre la petizione di principio circa soggetti e funzioni di mediazione linguistico -culturale e/o inter-culturale.
Sulla base di queste considerazioni critico-problematiche ,la Consulta,ha individuato un gruppo di lavoro al suo interno, di cui hanno fatto parte:
Andrea Facchini, referente per l’area immigrazione, asilo,lotta alla tratta del Servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale, Jora Mato, Associazione AMISS di Bologna,Monica Forghieri, Coop Integra di Modena,Raffaele Lelleri, Osservatorio Provinciale delle Immigrazioni di Bologna,Rosanna Facchini, Ufficio Scolastico Regionale del MIUR in Emilia-Romagna,Camilla Garagnani, Servizio Politiche Familiari, Infanzia e Adolescenza, Regione Emilia-Romagna,Elena Castelli e Michela Bragliani, Servizio Assistenza Distrettuale, Medicina Generale,Pianificazione e Sviluppo dei Servizi Sanitari, Regione Emilia-Romagna, Luca Basso Servizio Sistema Informativo -Informatico, Regione Emilia-Romagna ,che ha predisposto il questionario nella versione on line ,Elena Francia, Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Forlì, Università di Bologna, in particolare per la traduzione degli strumenti di indagine in lingua inglese. La supervisione all’indagine è stata curata da Andrea Stuppini, responsabile del Servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale,mentre il coordinamento del Gruppo è stato affidato a Marzio Barbieri che ne ha anche redatto il report finale.
Il dettaglio dell’ elenco delle persone ha,e vuole avere, l’intento di evidenziare il complesso della rappresentanza tecnico-istituzionale del gruppo di lavoro,in cui emerge l’approccio inter / intra istituzionale tra Regione e EELL,tra i diversi servizi della Regione, e con le ricche e qualificate rappresentanze del mondo accademico,associativo e culturale .
Il contesto
La Regione Emilia-Romagna, negli ultimi anni, ha visto crescere in modo sensibile la sua quota di popolazione di origine straniera che alla data del 31.12.2008 raggiunge circa 421.000 unità, pari al 9,5% della popolazione regionale . Una presenza che, a livello generale, si mostra generalmente con buoni livelli di integrazione,il cui esito è oggettivamente corroborato dalla scelta politico-culturale di promuovere anche per i nuovi cittadini l’accesso universalistico a Servizi e prestazioni,limitando accessi separati a specifiche situazioni temporali (neo arrivati,..) e/o a specifiche tipologie di bisogni (consultori materno -infantili…).E’ evidente che tale approccio strategico richiede , l’attivazione di sistemi e servizi di orientamento e di abbattimento delle barriere d’accesso ai servizi ed alle prestazioni, i cui strumenti principali sono appunto:
- la mediazione linguistica e interculturale in ambito sanitario, scolastico/educativo di orientamento al lavoro (centri per l’impiego) o di centri residenziali, di accoglienza e di inclusione sociale (servizi e comunità di accoglienza, servizi di protezione per richiedenti asilo, carcere, comunità per minori stranieri, ecc.);
- il punto informativo “esperto” capace di orientare gli stranieri nei percorsi di inclusione, di godimento dei diritti e di comprensione dei doveri.

Tempi e metodologia dell’indagine
- gennaio 2009: linee generali strategiche di mappatura degli ambiti e definizione dell’universo della ricerca
- marzo 2009 :messa a punto dell’universo di indagine e degli strumenti ,in particolare del questionario
- secondo semestre 2009 : analisi dei risultati e report di ricerca
Per la definizione dell’universo d’indagine è stato necessario costruire una mappa dettagliata di quei Servizi ed Enti che sono in stretto contatto con i mediatori perché li impiegano collaborano con loro e delle azioni progettuali che ne prevedono o ne hanno previsto la presenza. Si è proceduto a individuare associazioni ed imprese cooperative, espressione proprio dei mediatori e delle mediatrici interculturali, che sono andate a costituirsi negli ultimi anni per poter rispondere alle nuove forme di collaborazione con gli Enti pubblici. Anche per effetto delle ultime leggi di programmazione economico-finanziaria, le modalità di reclutamento adottate dagli Enti pubblici avvengono per lo più a seguito di gara, tramite convenzioni con società o associazioni fornitrici di servizi di mediazione. E se pur permangono situazioni residuali in cui continuano forme di contrattazione individuale le stesse sono spesso attivate attingendo proprio dagli elenchi di mediatori in possesso delle medesime associazioni o società,molto spesso composti esclusivamente da mediatori e mediatrici o, sicuramente, da un elevato numero di essi.
La sintesi di questo lavoro di ricognizione ha consentito la costruzione di una duplice mappa di conoscenza :
• i possibili soggetti di collegamento, diretto o indiretto, in grado di veicolare ai singoli mediatori le informazioni riguardanti l’indagine;
• un censimento, di fatto, esaustivo di fornitori di attività e di professionisti della mediazione.
Dal primo quadro è scaturito la rubrica degli “specchi”, così definiti in quanto capaci di “riflettere” verso i singoli mediatori (direttamente o, per le loro caratteristiche“relazionali”, tramite altri contatti) le informazioni provenienti dalla Regione. Questa rubrica , composta sia da fornitori (Associazioni, Cooperative, ecc), sia da utilizzatori ed altri contatti (potenziali o passati) come Aziende Sanitarie e servizi distrettuali, Enti Locali, Servizi Sociali, Sportelli informativi e Centri stranieri, Centri per l’Impiego, Centri per le Famiglie, centri interculturali, istituti scolastici, ecc. – è servita, immediatamente dopo, per la circolazione delle informazioni.
Agli “specchi” infatti è stato chiesto di :
a) promuovere le attività di contatto e promozione, facendo conoscere a tutti i mediatori e alle mediatrici, con cui erano in vario modo in contatto, l’iniziativa in questione; in particolar modo, inoltrando loro le e-mail ricevute dalla Regione e contenenti i link, le informazioni e i riferimenti necessari per poter compilare il questionario;
b) concedere a quanti non avessero modo di utilizzare un PC a casa, una postazione internet, limitatamente al tempo necessario alla compilazione del questionario, e, nel caso,fornendo un aiuto di massima per la compilazione;
c) stampare e/o ritirare e ritrasmettere alla Regione le eventuali copie cartacee dei questionari per quanti non avessero proprio la possibilità di accedere alla versione on line.
Una versione sui generis di “catena di santantonio “ particolarmente efficace alla fine, se,al netto di tutte le ridondanze e sovrabbondanze delle caselle mail degli “specchi” , sono stati raccolti 217 questionari,di cui 195 compilati direttamente on line e solo 22,re-inoltrati mail o in cartaceo dagli “specchi” stessi .
Di nuovo una doppia evidenza: la disponibilità e l’efficacia della collaborazione degli “specchi”,ma soprattutto , la facilità e la confidenza d’uso degli strumenti informatici ,anche tra i mediatori.

Alcuni esiti.
Una prima stima empirica,della cui approssimazione il Gruppo era ben consapevole,individuava circa 250 mediatori operanti in Regione,che invece sono poi risultati come da Tabella 2. (Fonte Report ER, dati al 1 luglio 2009)
Dove Collaboratori "strutturati" Collaboratori occasionali tot
Piacenza 6 49 55
Parma 38 98 136
Reggio E. 29 7 36
Modena 49 177 226
Ferrara 14 92 106
Bologna 84 104 188
Ravenna 26 4 30
ForlìCesena 23 23 46
Rimini 13 13 26
Tot.RER 282 567 849

Si segnala una straordinaria e preponderante presenza femminile,che rappresenta
l’80,7% del totale (il 77,3% dei mediatori “strutturati”, l’82,4% dei mediatori occasionali)che si rileva evidente soprattutto nelle strutture sanitarie, ma non solo. Ma anche la preponderanza dell’impiego lavorativo occasionale, che intreccia ancora la differenza di genere.

Quali lingue parlano: è significativo l’elenco delle lingue nelle quali sono capaci di interagire.

Come da Tabella Report ER (dati al 1 luglio 2009)
arabo-166;
rumeno/moldavo-72;
cinese-67;
albanese-64;
russo/ucraino-58;
lingue hindi/urdu/punjabi-52;
spagnolo-42;
inglese-32;
turco-24,
francese-22;
wolof(Senegal)-22;
serbocroato-21;
farsi (Iran/Afghanistan/Iraq)-19;
Polacco-19;
Dialetti nigeriani (Hausa, Yoruba e Igbo)-15 ;
altre lingue europee (bulgaro, portoghese, kosovaro,macedone, montenegrino, ceco, slovacco, ungherese,tedesco, sloveno, lituano, estone, greco, armeno) -65;
Altre lingue e dialetti africani (amarico, tigrino,somalo, dialetti ivoriani, ghanesi, camerunensi, mauriziano)-47;
altre lingue asiatiche (filippino, cingalese, tamil,bengalese, curdo, giapponese, indonesiano, malese,vietnamita, israeliano)-42

Questo dato consente anche di evidenziare da quali e quante parti del mondo provengono non tanto e non solo i mediatori,ma anche i nostri nuovi cittadini.
Inoltre è oggettivamente straordinario che, come risulta da altro approfondimento del questionario, ben l’80,6% dei mediatori intercettati parlino una terza lingua, oltre all’italiano ed alla lingua madre, e il 38 % una quarta lingua. Un “capitale umano” dotato di alta competenza culturale che,se da un lato fa giustizia di tutti gli stereotipi para-razziali con cui gli “stranieri”,sono pensati e proposti alla sensibilità corrente ,dall’altro richiede esplicitamente una formazione professionale unitaria, ma specifica, utile alla conoscenza e allo scambio reciproco di pratiche efficaci nei contesti di vita e di lavoro.
E per finire proponiamo qui ampi brani dell’introduzione al Report di ricerca , curata dal CNEL, che contiene alcune riflessioni significative,che merita citare.

“La politica nazionale sull’immigrazione, in questi anni, è stata totalmente condizionata da una scelta di identificazione esclusiva con i problemi dell’emergenza sociale, dell’ordine pubblico e della sicurezza, anche con il rischio di suscitare, con recenti misure legislative, istinti di una cultura xenofoba, che compromette una ordinata convivenza civile. I problemi della sicurezza ci sono, ma occorre consapevolezza che le nuove presenze acuiscono criticità già presenti nella nostra organizzazione pubblica, come nella giustizia, e nelle situazioni sociali già patologiche abbandonate da anni a se stesse, soprattutto nelle periferie delle aree metropolitane, nei territori della mala vita organizzata, nella piaga estesa del lavoro irregolare, nella illegalità diffusa nell’agricoltura meridionale.
Sono situazioni che vanno comunque affrontate, senza accrescere diffidenze e timori generalizzati nei confronti dei cittadini immigrati. La politica nazionale sull’immigrazione deve aprirsi ad una prospettiva lungimirante che sia
coerente con la sua natura strutturale e che dia prospettiva e vigore ai processi di integrazione.
Il punto è che, consapevoli o meno, sta nascendo una società nuova in cui tutti, italiani ed immigrati, hanno necessità di rassicurarsi non solo rispetto alle condizioni di lavoro e di vita, ma ad una ordinata vita sociale e alla sicurezza personale, alla integrità fisica e morale, alla identità culturale e religiosa. È un confronto molto complesso per noi e per gli immigrati e tra gli immigrati. La diversità provoca in tutti diffidenze e paure, sulle quali, lasciate a se stesse, per rassicurarsi si costruiscono stereotipi, pregiudizi che, consolidandosi, inducono comportamenti discriminatori, xenofobi, razzisti. Ma un ruolo decisivo lo deve svolgere la scuola, dove sono presenti oltre 600 mila figli di famiglie immigrate, le seconde generazioni. Soprattutto dalla qualità dell’integrazione scolastica dipendono le prospettive della nostra convivenza civile, della coesione sociale.
Tra le misure di una politica organica, con risorse adeguate, che riguardi la riforma dei contenuti culturali e didattici, la formazione dei docenti, anche per nuove competenze disciplinari come l’insegnamento dell’italiano lingua seconda, la dotazione di laboratori linguistici, di particolare rilievo dovrebbe essere la messa a disposizione di una collaborazione non episodica dei mediatori interculturali, ora fortemente penalizzata dai tagli di spesa pubblica centrale e locale.
Questa prospettiva va oltre la “coercizione” dell’assimilazionismo e la “tolleranza” del multiculturalismo, privilegia la centralità della “relazione” tra le culture, l’interculturalismo, per condividere valori e obiettivi comuni.
In questo ambito l’impiego dei mediatori culturali, come d’altronde previsto espressamente nel T.U.sull’immigrazione, può avere un ruolo forte: protagonisti con gli insegnanti della rigenerazione della migliore esperienza della scuola italiana come “comunità educante”, in grado di mobilitare corresponsabilità e risorse familiari e istituzionali nel cuore stesso dei processi educativi.”

Emilia-Romagna: educazione ambientale ed innovazione educativa

Gian Carlo Sacchi

Tra i tanti risvolti della monumentale ricerca realizzata dalla Regione Emilia-Romagna sull’educazione ambientale, un particolare degno di nota riguarda la testimonianza dei docenti che in questo lasso di tempo hanno tenuto alto l’impegno didattico nel settore, superando la marginalità che non è insolito riscontrare per queste attività nel curricolo scolastico e mettendo in evidenza come tale lavoro contribuisca ad innovare le metodologie, ma anche a fare in modo che la scuola abbia sempre più un ruolo nello sviluppo culturale e sociale, a partire dalla gestione “sostenibile” del proprio territorio.
Chi sono questi docenti ?
Non necessariamente omogenei quanto a titoli di studio e discipline di insegnamento, ma il dato comune riguarda l’appartenenza ad associazioni ambientaliste o l’essere cresciuti in contesti familiari e territoriali con una notevole sensibilità ambientale. Insomma anche la motivazione a coltivare determinati studi nasce da una sensibilità per l’ambiente come casa di tutti e la condivisione di detti valori con persone impegnate gratuitamente per il bene comune.
Basterebbero queste poche indicazioni per riflettere, proprio in tempi in cui tanto si discute sui requisiti per diventare insegnante, in merito ad un orientamento professionale non fatto solamente di percorsi accademici, ma che sappia coinvolgere altresì il valore dell’esperienza sociale. Il cambiamento, è noto, non lo si persegue solamente con le pur necessarie competenze tecniche, ma con i significati che ciascuno conferisce alle azioni che compie e che quindi attribuisce ad un obiettivo meta – professionale, finalizzato ad una visione etica e politica.
Non si tratta di fare della retorica pensando alla “missione”, ma la pur più moderna mission ha le sue radici in valori che ancorché meno fondamentalisti ispirano non solo i comportamenti, ma aiutano a ricercare maggiore conoscenza per la tutela.
Convinzioni profonde nell’ordine dei fini non escludono, anzi alimentano, l’approccio sperimentale, soprattutto per quanto riguarda una didattica più vicina all’esperienza degli allievi, alla vita quotidiana, per educarli, tra sfruttamento e ripristino, alla responsabilità.
Lavorare sull’ambiente oggi vuol dire imparare a leggere la complessità, sentirsi responsabili di qualche cambiamento, procedere con metodo scientifico, riflettere sul proprio sapere per poterlo rielaborare e riutilizzare.
Per i docenti l’educazione ambientale (EA) è un’occasione per ripensare alle discipline e all’insegnamento, ad intessere rapporti sempre più stretti tra di esse e ad individuare nodi concettuali vecchi e nuovi. Nell’EA il docente non è più un detentore di saperi, ma un adulto che condivide scelte di fondo e indirizza i percorsi di apprendimento a partire da esigenze pratiche e sentite.
“In me – dice un’insegnante – l’EA ha prodotto un rinnovato interesse per le attività scolastiche, un salto motivazionale”.
Anche il territorio diventa parte integrante dell’apprendimento; sembra ai ragazzi – dice un’altra - di trattare argomenti “da grandi” per cui vale la pena di mettersi in gioco e impegnarsi. L’EA richiede infatti una progettazione partecipata, tra scuola e territorio, per vivere quest’ultimo in modo sostenibile come cittadini e lavoratori.
L’EA si rifà anche sui curricoli, richiede maggiore flessibilità, una individualizzazione rispetto ai tempi e modi dell’apprendere, privilegiando l’acquisizione di un metodo di studio, ma anche un modello di comportamento elaborato in modo personale.
Un’altra novità è il progressivo abbandono della dimensione puramente naturalistica per guardare all’educazione così detta globale, in modo da interessare i campi dell’etica, sociale, giuridico, storico, economico, ecc.: un collegamento tra le discipline per fornire agli studenti un sapere unitario.
L’EA cambia il volto della classe, essa diventa un gruppo che cerca di raggiungere un obiettivo, dove il docente chiama gli stessi alunni a costruire un progetto e ad usare i saperi per una ricaduta rapida nell’elaborazione culturale e nell’organizzazione sociale. “Quando un ragazzo offre la sua disponibilità ad un lavoro fattivo, la relazione tra alunno e docente cresce di livello in modo sensibile”.
In questo clima di ricerca comune anche i docenti si avventurano per la strada dell’innovazione. Una di loro riferisce che “grazie a questo lavoro ho potuto insegnare con la massima facilità, anche in modo piacevole, una parte molto antipatica delle scienze, la sistematica”.
Di solito l’EA, proprio per le motivazioni dei singoli insegnanti, rimane appannaggio in alcuni ambiti, mentre si è notato nella ricerca che progressivamente si passa al consiglio di classe. Ci si rende conto che si possano così offrire molti dei valori importanti per la stessa scuola, e proprio per la sua didattica attiva si può arrivare a quelle competenze che sono alla base del curricolo formativo.
“Nel mio programma – dice un’altra docente- le problematiche ambientali sono diventate il quadro d’insieme da cui partire per analizzare i particolari, il filo conduttore che guida lo studio delle mie discipline” e l’attività laboratoriale non è mai astratta e distaccata, l’allievo non la vive come imposizione, ma come curiosità da soddisfare. Una scuola dove la fine della lezione non è determinata dal suono di una campanella, ma da un argomento che si esaurisce.
Un’altra testimonianza: “mi sembra sempre più assurda la specializzazione dei saperi, non riusciamo più a vedere l’insieme, la complessità delle cose: studiamo i più piccoli particolari ma non riusciamo ad applicarli alla realtà, che, nella sua essenza, è oltremodo complessa e interrelazionale”.
L’EA pone dunque il problema di fondo della riorganizzazione delle conoscenze non più soltanto attraverso le discipline quanto l’individuazione di nuclei fondamentali, il che induce da un lato i docenti a lavorare con maggiore concretezza e in modo interdisciplinare, e, dall’altro, porta i ragazzi, da soli,a ricercare le possibili soluzioni ai problemi e a comprendere quali sono i comportamenti sostenibili, spronandoli ad assumerli.
In questo modo il docente non pone più domande di cui già conosce la risposta, ma diventa per le sue conoscenze e lo specifico ruolo, un riferimento e una risorsa per l’allievo che deve risolvere problemi e affrontare situazioni che lo portano ad una crescita personale.
Sono state raccolte le osservazioni e le testimonianze di docenti che stanno in prima linea con impegno, competenza e motivazione. E’ un piccolo spaccato di una realtà che sembra ben più ampia e che vede nell’ambiente non solo un oggetto di conoscenza, ma anche un percorso di crescita e di aggregazione sociale.
Alcune indicazioni andrebbero ulteriormente approfondite, sia per quanto riguarda l’arricchimento della professionalità docente, sia per l’innovazione didattica. L’EA si conferma dunque un pilastro fondamentale per il progetto formativo della scuola e della comunità.