lunedì 22 novembre 2010

Scuole e città. Concretezza e pensieri lunghi


Rosanna Facchini


Quest’incontro ha, e vuole avere anche , valenza di ipotesi di lavoro per il ritorno a Bologna di un’ amministrazione vera e,allora, sembra utile stare alla concretezza dei problemi e delle soluzioni praticabili,senza esonerarsi dai “pensieri lunghi”.
Per punti
1. stante il “muro” ,di fatto e di diritto tuttora invalicabile, del patto di stabilità che colpisce anche i territori virtuosi, impedendo perfino di utilizzare risorse finanziarie disponibili,si può intanto percorrere la strada della forma giuridica dell’Istituzione, cui affidare l’insieme degli storici e gloriosi interventi educativi e pedagogico - culturali del Comune di Bologna – nidi e scuole dell’infanzia , Servizi Integrativi,Centri Famiglie, Aule Didattiche Decentrate ,CD/LEI…
2. …..e contemporaneamente pensare ad istituire la Direzione Pedagogica di tale Istituzione ,magari con uno staff capace di conferire unitarietà agli interventi e di irrobustirne la prioritaria valenza educativa,anche per rilanciare una Bologna capace di futuro,che promuove i diritti di cittadinanza e non “ripara solo i danni”
3. corroborare la rete di tutti i Comuni con Istituzioni Scolastiche Autonome pubbliche statali e paritarie,comunali e private : occorre davvero studiare e realizzare il percorso istituzionale ed amministrativo capace di interpretare qui, e in dimensione di area metropolitana , la Riforma costituzionale del 2001,dopo la quale il panorama istituzionale è ABITATO da una nuova e significativa autonomia:la scuola! L’idea, già in pista peraltro,ma da rafforzare secondo criteri di pari valenza istituzionale, è proprio quella di una CITTA’ METROPOLITANA della SCUOLA
4. da questo punto di vista un’attenzione particolare va destinata all’Aldini Valeriani Sirani,di cui è in corso il progressivo passaggio di gestione all’Amministrazione statale, non solo per coerenza con l’obiettivo di area vasta,appena indicato, ma anche per la storica sinergia tra la sua funzione formativa e il tessuto produttivo e socio- culturale del territorio bolognese
5. fuori dalla Pedagogia contabile e tele giornalistica del governo,nella concretezza: il 73% delle famiglie di questo territorio chiede il Tempo Pieno, il 26% chiede un Tempo modulare tra le 27 e le 30 ore di scuola ,solo l’1% si è fatto distrarre dal “maestro unico”! (che al 90% e rotti è donna!)……….
6. una situazione tre volte penalizzante per le donne bolognesi che, già colpite per prime da CIG e da licenziamenti in tutti i settori produttivi,avranno ancora meno possibilità di conciliare tempi di vita lavorativa, famigliare, personale, con un tempo scuola indifferente a tali tempi, oltre che pedagogicamente “nemici” con i tempi di vita, di apprendimento,di relazione dei bambini e delle bambine ; e che dire delle donne , che non troveranno più la loro cattedra e saranno”disoccupate invisibili”,con uno spreco di capitale culturale e professionale inaccettabile
7. a fronte di questo,vanno evitate due semplificazioni letali:
in sede politica : il tema non va lasciato alla sola azione sindacale,peraltro già abbondantemente insidiata da sistematiche e continue delegittimazioni governative e l’hanno ben capito, per primi, i cittadini-genitori in una stagione di straordinaria partecipazione alla vita della scuola, superiore perfino,forse, a quella della stagione dei “decreti delegati”!
in sede amministrativa :non si può pensare al alcuna forma di “supplenza” da parte dei Comuni che ,praticata in altre stagioni, ha “tirato la volata” anche alle politiche nazionali,facendo di questo territorio il “laboratorio didattico nazionale”,che ha prodotto la scuola media unica, la scuola statale dell’infanzia, l’innalzamento dell’obbligo scolastico;questa domanda di tempo scuola è una domanda matura, cui si può, e si deve , rispondere con un ruolo protagonista delle autonomie locali,istituzionalmente responsabili del diritto alla scuola dei propri cittadini nella sede propria della Conferenza Stato-Regioni,un protagonismo pari almeno a quello che si sta esercitando in questi giorni, in materia edilizia,e non con altri “spezzatini” di tempo pedagogicamente indifferente e neppure con risposte contabili,che per quanto concrete e vere, assumono inevitabilmente la connotazione di “esonero di responsabilità” che nessun amministratore locale può permettersi…..
8. …per finire (provvisoriamente):è tempo di dare corpo al Piano regolatore dell’Offerta formativa ,attivando da subito, un monitoraggio di tutte le strutture edilizie delle scuole ,non solo per la necessaria revisione degli standard di sicurezza, ma anche e soprattutto per aggiornare/implementare la qualità degli ambienti di vita e di apprendimento dei nostri figli ,almeno secondo due criteri:
tecnologico: accesso a internet e disponibilità concreta delle ITC,come ad es: le Lavagne Interattive Multimediali (L.I.M.)
ecologico:attivazione di tutte le soluzioni di risparmio energetico di acqua,riscaldamento, elettricità che potrebbero anche costituire un “volano” per dare ossigeno al settore edilizio,in alternativa ai “condoni anticipati” che costituiscono ormai l’unico percorso governativo
relazionale : salvo le scuole superiori, che hanno la “sala insegnanti”,spesso arredata solo da un tavolo e da armadi metallici anonimi e obsoleti, in nessuna scuola sono previsti spazi di lavoro e di relazione per gli adulti che nella scuola lavorano e alla scuola mandano i loro figli : l’idea invece dovrebbe/potrebbe essere quella di avere stanze di incontro tra insegnanti, tra genitori,tra genitori e insegnanti,”copiando” le soluzioni che pure sono state realizzate per le scuole dei più piccoli e nei Centri per le famiglie……. e per una scuola di comunità professionale e relazionale come presidio culturale di territorio,in centro e nelle tante periferie, anche qui da noi……

Sono pensieri e parole da pedagogista,convinta che la politica e l’amministrazione hanno tutto da guadagnare, facendosi attente alla domanda di futuro che la pedagogia,per dovere epistemologico ,tenta di intercettare, e una sana iniezione di cultura pedagogica è sicuramente una strada “buona” per incontrare cittadini e cittadine e per interpretarne bisogni e diritti .

Contributo al Forum pubblico “Le scuole e la città”.
Bologna, 10 Novembre 2010

Diritto allo studio. Giovani “Amministratori per la Pace” entrano in campo.

La scuola, in tutti i suoi gradi, da quella per l’infanzia all’Università, è ormai ridotta ad una sorta di fabbrica del precariato. Penalizzati sono nel contempo insegnanti e studenti.

Ecco perché i Giovani Amministratori per la Pace, la neonata Rete nazionale costituitasi a febbraio ad Assisi sotto l’egida della Tavola della Pace di Perugia e gli auspici del suo Presidente Flavio Lotti hanno dato mandato a tre suoi componenti di redigere un comunicato di sostegno alla mobilitazione di docenti e discenti contro le politiche improvvide del Governo Berlusconi.

I Gap ritengono infatti che da un’istruzione di qualità deriva il futuro civile ed economico del Paese. Di seguito il Comunicato.

“La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

Questo qui sopra non è un brano di Utopia di Tommaso Moro, ma l’articolo 34 della nostra Costituzione.
Il diritto allo studio è, infatti, un diritto costituzionale ed un bene pubblico mondiale, almeno a quanto si legge nella Costituzione repubblicana e nelle più recenti linee guida di Unesco e Consiglio d’Europa.
L’Educazione ad un pensiero critico – dicono insieme eminenti teorici e filosofi politici quali Amartya Sen, Robert Dahl ed Edgar Morin – è fondamentale al fine di costituire la cittadinanza democratica e di educare il cittadino sia al rispetto dei diritti sia alla politica mite e non aggressiva.
Il fondo che finanzia le borse di studio per gli studenti universitari scenderà nel prossimo anno dagli odierni 96 milioni di euro a 70 milioni di euro, riportando l’Italia indietro di decenni e lasciandola in affanno a rincorrere gli altri paesi europei (nel biennio 2009/2010 in Italia usufruivano di borsa di studio 151.760 studenti contro a più di mezzo milione di studenti titolari di borse di studio in Germania ed altrettanti in Francia).
I tagli ai dottorati di ricerca ed ai ricercatori, poi, tengono fermo il nostro paese alle quote degli anni Ottanta (1,2% di spesa di bilancio nel settore), contro l’obiettivo di Lisbona che chiede il 3% per il 2010 agli Stati membri dell’UE.
Noi Giovani Amministratori per la Pace ed i diritti umani, consapevoli della necessità di una seria politica educativa e proattiva nei confronti della ricerca universitaria per sostanziare la concezione di democrazia e dare forza viva alla Costituzione italiana, esprimiamo la nostra indignazione nei confronti della manovra finanziaria per il 2011. Un provvedimento così improvvido rischia di impoverire il saggio dettato costituzionale e rendere incerto il diritto di eguaglianza nell’accesso ad un’equa valutazione del merito.
I GAP (Giovani Amministratori per la Pace) assicurano il proprio sostegno e la propria vicinanza a studenti e docenti che in tutto il Paese stanno manifestando per il diritto allo studio e per il lavoro della conoscenza. Il mondo della conoscenza manifesta contro provvedimenti sconsiderati ed incapaci di intendere il diritto allo studio quale perno su cui far leva per uscire dalla crisi economica, i Giovani Amministratori della Pace, ancora una volta, sono al fianco degli studenti, dei ricercatori e dei precari della scuola.

Mattia Baglieri (Comune di Casalecchio di Reno)
Valentina Cuppi(Comune di Marzabotto)
Marco Paolucci (Comune di Arezzo)
della Rete Giovani Amministratori per la Pace

sabato 20 novembre 2010

Il sapere, un diritto delle persone, una risorsa indispensabile per la comunità bolognese.

PD. Le politiche locali per la scuola
A cura di Davide Ferrari

Nonostante si accrescano, anche qui, la lontananza dalla politica e dalle istituzioni, dal senso del bene comune e dalla funzione dell’intervento pubblico, i cittadini di Bologna e dell’Emilia-Romagna, ben comprendono il valore della scuola e della formazione, in un periodo storico nel quale l’orizzonte di riferimento deve, sempre più, essere il mondo intero. Sono cadute le barriere tra le nazioni e i mercati e la possibilità di uscita dalla crisi è migliore per quei paesi che strategicamente puntano sull’educazione e la formazione dei cittadini, investendo su scuola, università e ricerca, investendo sui talenti e sulle competenze dei giovani per prepararli a operare validamente nella società e nel lavoro. E’ presente una diffusa consapevolezza del fatto che l’investimento sulla qualità dell’istruzione e sulla formazione è una leva per contrastare il rischio di esclusione sociale anche per i tanti lavoratori colpiti dalla crisi, e, sul piano strategico, per interrompere il declino del nostro Paese, ritrovare una collocazione mondiale con prodotti industriali e servizi (compresi quelli culturali, turistici, sanitari) capaci di cogliere la domanda vecchia e nuova di una economia internazionale sempre più integrata.

A questa visione di ampio respiro si ispira l’azione di governo regionale e locale, e medesima ispirazione mostra, nella sua prevalenza, il mondo della scuola. Ma portare avanti queste scelte è oggi più difficile, mentre la scuola italiana subisce il più grave attacco da quando vive la Repubblica democratica.
Oggi, in un momento in cui, mentre in tutti i paesi avanzati la crescita è affidata all’istruzione, alla formazione superiore, alla ricerca di base, al trasferimento tecnologico, all’innovazione, la scelta del Governo Berlusconi è stata netta e univoca. La scelta di disinvestire sui sistemi dell’istruzione, della formazione e della ricerca, con massicci tagli alle risorse e con una trasformazione degli
ordinamenti che comprometteranno la crescita e il futuro del Paese. La politica governativa si muove in controtendenza con quanto avviene, sia pure in forme molto differenziate, negli altri Paesi avanzati dove l’investimento è accresciuto e mirato non solo in funzione anticiclica ma per far avanzare l’istruzione nei campi più promettenti dello sviluppo economico, in particolare in quello della cosiddetta “green economy”.

Con la manovra finanziaria 2011-2012 il Governo ha prodotto un taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti Locali che si risolveranno nel mancato ritorno di 200 euro pro-capite di tasse tolti a tutti i cittadini emiliano-romagnoli. In sintesi 1 miliardo di euro di trasferimenti dallo Stato non sarà, nei prossimi due anni, riassegnato a Regione (750 milioni) ed Enti Locali (250 milioni).
Tutto ciò comporterà tagli e rincari tariffari su tutti i servizi pubblici, perché è impensabile recuperare un simile taglio senza leve fiscali e con la sola riduzione di costi delle spese generali o “superflue”.
La scuola già nella bufera, rischia di essere travolta anche sul piano degli interventi educativi degli EE.LL.

L’attacco portato avanti dal Governo, con i gravissimi tagli ed i provvedimenti del tutto conseguenti del Ministro Gelmini delineano un vero e proprio piano antiscolastico. Il risultato è quello di avere una scuola impoverita e riportata a saperi invecchiati, lontana dalla ricerca e dall’attualità.

Il disegno Tremonti-Gelmini, se è strumentale ai tagli è però ampio e tende, in ogni settore, dalla scuola di base all’Università a ridurre tempi ed opportunità, spazi di dialogo e democrazia.
Ecco il punto: oggi non si tratta solo di tagli, ma anche di una sfida sui valori. Per questo ci siamo impegnati e siamo chiamati ad insistere in una battaglia culturale sulle finalità di fondo della scuola.

C’è il bisogno di riaffermare la centralità della scuola, in coerenza con l’Art. 3 della Costituzione, di concepire la funzione educativa come la più importante per la qualità della crescita sociale, certamente, e prima ancora, per assicurare ad ogni individuo, ad ogni persona, maggiore consapevolezza, dignità, libertà.
Le scuole, la professionalità dei docenti sono sottoposte ad attacchi indistinti, di pura connotazione politica. Si vuole diffondere non la critica ma il discredito, allontanare l’opinione pubblica dal vero nodo reale del problema: la scuola è di tutti e toglierle risorse significa sottrarle ad una istituzione che ha compiti di promozione umana e di realizzazione di uguaglianza di opportunità fondamentali.
L’avversione di questo governo alla scuola è indice di una inimicizia verso la democrazia.
E’ una prospettiva inquietante.
I valori che ci vengono proposti sono, nell’ordine: autorità, gerarchia, e disciplina.
Fa riflettere che questo elenco di “valori” che il governo e le sue televisioni ci propongono con insistenza, nello stesso tempo mediatico appaltato, con malcelata ipocrisia, ai mille e mille nani e ballerine che occupano gli schermi e mentre scandali sempre più gravi disegnano una immoralità privata perseguita fino a diventare di pubblica e istituzionale rilevanza.
Certo, consideriamo importanti noi per primi il rispetto reciproco all’interno della vita scolastica, l’autorevolezza dei docenti., come strumenti utili a perseguire più vasti e veri i fini dell’educazione, primo fra tutti quello di favorire una crescita individuale libera e piena, differenziata e ricca.

“L’apertura di porte e finestre nella vita dei bambini”, liberarne l’intelligenza, formarne la capacità di discernere, operare già oggi per garantire uno sviluppo più armonico della personalità dei ragazzi e delle ragazze, non arrendendosi alla deriva dell’aumento del disagio e del cosiddetto “bullismo”. Questi dovrebbero essere i risultati della scuola. E questa la base di quella “naturale devozione della scuola alla democrazia”, di cui scriveva John Dewey.

Ricordare il rapporto fra la scuola e la democrazia mette in rilievo la necessità di un’etica della libertà e responsabilità, di diritti e doveri precisi.
Sono concetti importanti quando, invece di costruire una forte autonomia delle scuole, che sia segnata dalla capacità di fare condurre processi educativi leggibili e verificabili, nella certezza delle risorse e nella continua cura per la qualificazione professionale, esattamente come quei principi generali della democrazia richiedono, si governa senza alcuna responsabilizzazione sugli effetti che si producono, chiedendo rigore e fornendo annunci continui e menzogneri, sottraendosi ad ogni dialettica.

La battaglia contro Gelmini e per difendere e cambiare la scuola è dura e non si può portare avanti solo con la determinazione politica, ci vogliono qualità di proposte ed un ampio coinvolgimento di tutti i soggetti della vita delle scuole.
Per unire e salvaguardare le scuole proprio quando promuoviamo e sosteniamo l’opposizione ed il conflitto contro le scelte gravissime del Governo.
Altrimenti i dirigenti si divideranno dagli insegnanti e viceversa e tutte le componenti interne dai genitori e dagli studenti e tutto il mondo della scuola dalla società.
E’ richiesta la massima attenzione alle forme di lotta e l’attivazione di vasti momenti di confronto culturale, professionale e gestionale.
Pensiamo a momenti politici ma anche soprattutto, senza confonderli, a momenti istituzionali.
Qui la Regione e gli Enti Locali già hanno un grande ruolo e possono fare molto.
Per giungere a piattaforme di territorio, rivolte al Governo, per la difesa del nostro sistema scolastico e per arrivare a sperimentare nel contempo, già ora, forme di un governare-insieme Regione-Enti Locali-Scuole, qui in Emilia-Romagna,del tutto differente.

La controriforma in atto interviene anche sul versante del rapporto fra la Scuola della Repubblica, le Regioni e gli Enti Locali.
La sostanza sembra quella di essere una sorta di decentramento proprietario.
Leggiamo che gli enti locali, con le imprese, entrerebbero nei consigli di amministrazione di scuole diventate fondazioni. Ma si tratta di integrare o di imporre magari scelte didattiche, magari scelte culturali e perfino ideologiche quali quelle che la Lega e gran parte di Forza Italia rivendicano apertamente?

Le esperienze emiliane propongono qualcosa di molto diverso e che ha funzionato.
Anni di pratiche di integrazione tra la libertà delle scuole e la forte presenza di sostegno, anche di indirizzo dell’ente locale, che hanno prodotto risultati: dalla scuola dell’infanzia alla scuola di base, fino alla secondaria superiore.

Mentre la scuola, le sue componenti più consapevoli sono impegnate in una battaglia di difesa così difficile ed importante, sarebbe il tempo invece di nuova visione per l’educazione del XXI secolo, in cui sarebbe necessario non solo sostenere la scuola che c’è, ma introdurre una forte innovazione sollecitata dalle trasformazioni culturali,sociali ed economiche in essere.

L’Emilia-Romagna.

Un buon sistema formativo deve essere inclusivo e per questo riconoscere e valorizzare talento e motivazioni dei singoli al di là delle condizioni socioeconomiche e culturali della famiglia di provenienza.
Anche nella nostra Regione abbiamo bisogno di un sistema formativo che sempre di più garantisca al meglio ad ogni ragazzo e ad ogni ragazza, le medesime e grandi opportunità di successo, attraverso il conseguimento di competenze che li rendano consapevoli della propria personalità, responsabili delle proprie scelte, capaci di relazionarsi, di comprendere e selezionare i messaggi di un mondo complesso, di essere protagonisti nel mondo del lavoro e nella dinamica sociale.
Il successo individuale è patrimonio di tutti perché su esso si basano le possibilità di sviluppo. Così si interpreta il mandato del Trattato di Lisbona: quello di fare diventare l’Europa un’area politica e culturale caratterizzata da “capitale umano” in grado di generare sviluppo e innovazione.
L’ Emilia-Romagna è al lavoro per qualificare il sistema,individuando obiettivi e forme organizzative che servano a qualificare ed estendere il sistema di istruzione, ampliando la consapevolezza sociale del valore della scuola e della formazione.
I)
Il Piano delle politiche attive per attraversare la crisi”, in attuazione del Patto sottoscritto tra la Regione e le Parti sociali ha messo in campo una pluralità di opportunità formative diversificate e capaci di rispondere alle differenti condizioni, esigenze, aspettative dei lavoratori. Percorsi di aggiornamento, specializzazione, qualificazione e riqualificazione personalizzati, sono rivolti ai lavoratori interessati da provvedimenti di cassa integrazione o in mobilità per rafforzare le competenze delle persone e del sistema produttivo nel suo complesso quale strategia per salvaguardare l’occupazione.
II)
La Regione ha stanziato risorse per la valorizzazione dell’autonomia scolastica
-la gestione delle differenze
-la diffusione della cultura tecnico scientifica
-l’accesso alle risorse culturali e didattiche del territorio
e più recentemente le ha orientate verso la scuola dell’Infanzia.

Consapevole della criticità della situazione, la Regione sta intervenendo per il consolidamento di un sistema di relazioni che aiuti la scuola a mantenere una buona qualità. Si tratta di creare condizioni organizzative e di servizio che servano a sostenere e promuovere l’autonomia delle scuole nel compiere le scelte per la qualificazione del servizio.
Il problema di aiutare lo sviluppo dell’autonomia è anche di chi sta “fuori” dalla scuola: delle istituzioni in primo luogo, ma anche di tanti altri soggetti del territorio che condividono la consapevolezza del suo ruolo fondamentale.
Le caratteristiche della politica regionale sono:
coinvolgere le scuole, gli enti territoriali, le imprese, le organizzazioni sociali, le fondazioni, le associazioni culturali, il volontariato ed il privato sociale in un progetto di collaborazione che metta a disposizione del sistema scolastico le risorse presenti nel territorio sia per assicurare la fornitura dei servizi, sia per qualificare la didattica. Si rafforza in tal modo la possibilità delle Istituzioni Scolastiche di comunicare e rendere trasparenti i propri modi di funzionare, dando una sponda concreta alla partecipazione di famiglie e studenti alle scelte.

Noi condividiamo queste scelte e, a partire dalle esperienze in corso, indichiamo alcune linee di azione prioritarie.

*Lo sviluppo dell’autonomia delle scuole. Si tratta di creare le condizioni per cui la collaborazione con i territori per la definizione, qualificazione, realizzazione dei POF (Piani dell’Offerta Formativa) sia un punto qualificante delle politiche degli Enti territoriali. Per rendere efficaci le politiche di autonomia servono un chiaro mandato istituzionale definito a livello nazionale, un affidabile sistema di valutazione, certezza di risorse professionali e finanziarie.

*Una risposta la più ampia, articolata e qualificata possibile alle aspettative delle famiglie di estensione del servizio scolastico e dei servizi educativi per l’infanzia.

*L’integrazione delle risorse formative, al fine di rendere flessibili i percorsi, per trovare risposte adeguate alla complessità delle situazioni culturali cui gli studenti appartengono e alle diverse aspettative delle famiglie. Entra in questa logica il riconoscimento del valore della cultura del lavoro.
*La valorizzazione e il potenziamento della funzione docente, attraverso sia la formazione iniziale sia quella in servizio. Fa parte di questa linea la costruzione di forme di riconoscimento di competenze e di ruoli. Condizione per investire sulla qualità professionale dei docenti è il superamento del precariato.

* La costruzione di una concreta politica di formazione per tutto l’arco della vita, in difesa e promozione della qualità professionale e culturale del cittadino ad ogni livello di età, consapevoli che questo significa creare le condizioni per la crescita delle professionalità dei lavoratori e per contrastare l’espulsione dal mercato del lavoro e per favorire il mantenimento di rapporto fra le generazioni, a fronte di rapidi cambiamenti culturali.
Garanzia per tutti i cittadini, a prescindere dalla loro età ad avere a disposizione servizi formativi che potenzino le loro capacità professionali ed il loro aggiornamento culturale. Soggetti le scuole, la Formazione professionale, l’associazionismo culturale.

* Occorre richiamare l’importanza dei poli tecnologici in fase di realizzazione, che hanno un ruolo primario per la ricerca e l’esigenza correlata di scuole superiori qualificate e di poli di formazione superiore.

La situazione di Bologna.

Nel territorio bolognese, proprio mentre il Governo taglia, si registra una crescita costante della popolazione scolastica, pari a 25.251 alunni/studenti negli ultimi dieci anni:

Alunni totali iscritti nella scuola pubblica statale
Provincia di Bologna
a.s.1999/2000 a.s.2009/2010
Infanzia 8.174 12.411
Primaria 30.030 38.876
Secondaria di I grado 17.197 22.326
Secondaria di II grado 23.988 31.027
Totale 79.389 104.640



E nello stesso tempo è sempre più forte la richiesta di una scuola a tempo lungo e validamente presidiata, una scuola all’altezza del livello sociale e culturale della nostra realtà
La Provincia ed i Comuni hanno dato vita a manifestazioni ed a proposte per aprire una vera e propria “vertenza scuola” in rappresentanza delle famiglie e dei loro bisogni.
Si sono poi avviate, in questo anno scolastico, numerose e diffuse forme diverse di intervento, a seconda delle possibilità e delle dimensioni degli Enti Locali.
Il Comune di Bologna aveva dato vita ad un Piano di azioni per sostenere l’accesso e la qualificazione dell’offerta formativa nelle scuole del primo ciclo di istruzione orientate a
con la collaborazione delle Istituzioni scolastiche e nell'ambito di quelle che sono le competenze dell 'Ente locale

A. Flessibilizzare le modalità e le fasce orarie di attivazione dei servizi integrativi già esistenti –pre e post orario- allo scopo di determinarne una maggiore adeguatezza di funzionamento rispetto ai bisogni emergenti espressi dalle famiglie

B. Avviare azioni finalizzate alla qualificazione dell’offerta formativa che si sviluppino
sulle seguenti linee:
1.Valorizzazione delle risorse formativo/educative provenienti dal patrimonio storico,
scientifico, culturale, ambientale e sportivo del territorio
2. Prevenzione del disagio relazionale e dei disturbi del linguaggio dell’
apprendimento
3. Integrazione degli alunni figli di migranti di nazionalità diversa da quella italiana
4.Sostegno alle attività di innovazione e di sperimentazione didattica .


L’impegno consolidato dei Comuni emiliano-romagnoli per la Scuola e la formazione è , d’altra parte, da decenni e decenni, rilevantissimo.
Così a Bologna, dove la promozione del sistema formativo territoriale vede l’Ente Locale impegnato
-sia nel sostegno alla qualità dell’Offerta Formativa delle realtà educative per l’infanzia, e delle scuole di base e secondarie, con numerose iniziative che intervengono sulle condizioni di accesso soggetti diversamente abili, sulla didattica, sui saperi, sull’integrazione multietnica e insistono nel favorire il rapporto fra le scuole e le realtà territoriali economiche sociali e culturali,
-sia, in misura ancora rilevante, in una diretta gestione di scuole ed interventi educativi, con i Nidi, le Scuole dell’Infanzia, le attività scuola-cultura-territorio, come le aule didattiche decentrate nei Musei e nelle Istituzioni culturali, e quelle scuola-mondo del lavoro originate dagli Istituti Aldini-Sirani.

Le basi di una politica scolastica dell’Ente Locale sono la libertà di insegnamento e la libertà di fare scuola garantita da una buona pratica dell’ autonomia, quindi il punto di partenza deve essere : riconoscere nelle scuole i primi interlocutori, avere sempre, in ogni progetto, la loro corresponsabili , dall’idea, alle risorse umane e logistiche.
Proponiamo quindi un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, con la partecipazione di tutti gli altri soggetti di un Sistema formativo allargato ed integrato, quasi un piano “regolatore”, o per essere più attuali nella metafora urbanistica, ad un piano “strategico” dell’offerta formativa ed educativa, dagli edifici ai contenuti, pensato e realizzato insieme, a partire dalla proposta culturale, dove grande peso deve avere la voce della didattica in capo alla ricerca autonoma delle scuole.
Occorre studiare e realizzare il percorso istituzionale ed amministrativo capace di unire la realizzazione di Bologna città metropolitana alla valorizzazione nuova e significativa dell’ autonomia delle scuola. L’idea da realizzare secondo criteri di pari valenza istituzionale, Scuole-Ente locale, è proprio quella di una CITTA’ METROPOLITANA della SCUOLA

Siamo convinti che una pubblica amministrazione funzionante è una precondizione per fare politiche pubbliche efficaci. È proprio sulla capacità di innovazione della pubblica amministrazione che Bologna deve essere in grado di rimettere in discussione l’esistente, di superare le duplicazioni, di promuovere semplificazioni e aggregazioni. Il riassetto dell’intera provincia nella logica della Città Metropolitana de essere accompagnato con una riforma dal basso degli uffici per far funzionare meglio la pubblica amministrazione, ridurne i tempi e contenerne i costi.

Pensiamo ad un Piano dell’Offerta formativa impegnato sui contenuti ma anche sulle strutture.
Da troppo tempo non si parla in termini di priorità culturale e politica di edilizia scolastica, anche se soprattutto nel mandato 2004-09 l’impegno del Comune di Bologna sull’edilizia scolastica è stato significativo.
Bisogna ridare centralità oltre ad un monitoraggio di tutte le strutture edilizie delle scuole, anche a progettazioni di alta qualità, non solo per la necessaria verifica degli standard di sicurezza, ma anche e soprattutto per aggiornare/implementare la qualità degli ambienti di vita e di apprendimento dei nostri figli ,almeno secondo tre criteri:
tecnologico: accesso a internet e disponibilità concreta delle ITC, come ad esempio le Lavagne Interattive Multimediali (L.I.M.)
ecologico:attivazione di tutte le soluzioni di risparmio energetico di acqua,riscaldamento, elettricità che potrebbero anche costituire un “volano” per dare ossigeno al settore edilizio,in alternativa ai “condoni anticipati” che costituiscono ormai l’unico percorso governativo
relazionale : salvo le scuole superiori, che hanno la “sala insegnanti”, spesso arredata solo da un tavolo e da armadi metallici anonimi e obsoleti, in nessuna scuola sono previsti spazi di lavoro e di relazione per gli adulti che nella scuola lavorano e alla scuola mandano i loro figli: l’idea invece dovrebbe/potrebbe essere quella di avere stanze di incontro tra insegnanti, tra genitori,tra genitori e insegnanti,”copiando” le soluzioni che pure sono state realizzate per le scuole dei più piccoli e nei Centri per le famiglie e per una scuola di comunità professionale e relazionale come presidio culturale di territorio,in centro e nelle tante periferie.

Le esperienze bolognesi, con l’impegno diretto degli Enti Locali, gestionale e di personale impiegato, non sono considerabili-neanche in anni di crescenti e drammatiche difficoltà di bilancio, una zavorra.
Sono state il banco di prova soprattutto a Bologna, di tutte le principali innovazioni.
Da tempo, d’altra parte è emerso il problema: come ripensare, riqualificare, non solo ridurre le gestioni dirette in epoca di scarsità crescente di risorse.
Una possibile ipotesi è quella di dare vita, a Bologna come già è in molte altre realtà della Regione, ad una Istituzione che sia una articolazione dell’Ente Locale .

Stante il patto di stabilità che colpisce anche i territori virtuosi, impedendo perfino di utilizzare risorse finanziarie disponibili,si può percorrere la strada della forma giuridica dell’Istituzione, cui affidare l’insieme degli storici e gloriosi interventi educativi e pedagogico - culturali del Comune di Bologna – nidi e scuole dell’infanzia , Servizi Integrativi,Centri Famiglie, Aule Didattiche Decentrate ,CD/LEI e contemporaneamente pensare ad istituire la Direzione Pedagogica di tale Istituzione ,magari con uno staff capace di conferire unitarietà agli interventi e di irrobustirne la prioritaria valenza educativa,anche per rilanciare una Bologna capace di futuro,che promuove i diritti di cittadinanza e non “ripara solo i danni”
I Nidi.
I bambini non sono “scomparsi” ed i nidi non sono costose obsolescenze.
Consideriamo evidenti questi affermazioni.
Basta guardare ai dati.
All'evoluzione della popolazione in età 0-2 anni e alla corrispondente evoluzione dell'utenza nidi


I dati riportati nelle tabelle predisposte dal Comune di Bologna, mostrano i problemi attuali e futuri nell’evoluzione dei servizi rivolti alla prima infanzia. La popolazione da 0 a 2 anni è prevista in leggera crescita nell’arco del prossimo mandato amministrativo (+1,4%).
Nel 2011 (anno scolastico 2010/2011) le domande presentate rappresentano il 47% dell’utenza potenziale ed è un indicatore stabile nel tempo; la copertura della domanda (rapporto tra posti nido e domande presentate) si attesta al 76%, in riduzione rispetto agli anni precedenti.
Nell’ipotesi di mantenimento dell’attuale copertura della domanda e dell’incidenza di domande presentate sul totale della popolazione, a fine periodo sarebbero necessari 44 nuovi posti, pari ad un incremento del 1,4% dei posti rispetto al 2011.
Ipotizzando invece una copertura della domanda che torni ai livelli del 2009 (80%) i posti in più dovrebbero essere 226, con un incremento del 7% rispetto ai posti del 2011.
Bologna ha raggiunto nei servizi rivolti alla prima infanzia risultati eccellenti nella qualità, nella quantità e nella varietà dell’offerta. La percentuale di copertura della regione Emilia-Romagna è la più alta d’Italia con una media del 29%, Bologna raggiunge il 42%.
La lista d’attesa di oltre 850 bambini e il trend demografico impongono come prima esigenza l’allargamento dell’offerta, ma anche la necessità di esaminare i fattori che richiedono di progettare una riorganizzazione del sistema dell’offerta.
I genitori sono preoccupati che le scelte finanziarie che stanno seguendo i tagli del Governo attacchino i Nidi e la loro qualità.
Noi siamo per ogni positiva e partecipata razionalizzazione, siamo contrari a ridurre orari e qualità.
Questo sul piano immediato, di oggi, del bilancio che l’Amministrazione commissariale sta predisponendo.
Sul piano della prospettiva riteniamo che un confronto tecnico e politico sia necessario per arrivare ad un piano di sviluppo dell’offerta,
I capitoli di questo piano di sviluppo sono molti.
Ne citiamo alcuni:
-più nidi pubblici realizzati con il concorso delle grandi amministrazioni pubbliche, per i loro dipendenti ma anche per il territorio, più nidi pubblici realizzati con il concorso di aziende, con lo stesso criterio di apertura territoriale, il project-financing, la verifica delle sperimentazioni di altri servizi educativi fin qui realizzate, per esaminare quanto le forme di auto-organizzazione delle famiglie possono essere sostenute all’interno della rete, per verificare quanto il sistema pubblico e privato siano adeguati alla flessibilità richiesta oggi dal lavoro femminile e dalla debolezza delle reti familiari con nuclei formati spesso da un solo genitore.

Per realizzare una risposta alla domanda di offerta educativa 0-6 anni e a fronte di ulteriori gravissime riduzioni di risorse disponibili a seguito delle politiche del Governo nazionale è necessario per la Scuola dell’Infanzia nella città di Bologna il riconoscimento degli oneri che il Comune di Bologna, in primo luogo, sostiene per la gestione delle scuole dell’Infanzia e gli oneri (oltre 10 milioni di euro) che il Comune ancora sostiene nel non completato processo di statalizzazione dell’Istituto Aldini-Valeriani.
Considerando il differenziale fra percentuale nazionale di copertura del servizio a gestione statale = 61% e quella locale = 18%, occorre che lo Stato si impegni maggiormente e intanto concretamente riconosca a Bologna le risorse che oggi il Comune spende.
La proposta potrebbe essere rappresentata secondo un criterio di validità generale in due modi distinti:
1) richiesta di un intervento finanziario aggiuntivo rispetto ai contributi ordinari previsti dal Miur per le scuole d’infanzia paritarie a norma della legge 62/2000 (a compensazione del maggiore onere sostenuto dai comuni capoluogo di provincia dove la quota di servizio di scuola d'infanzia paritaria - comunale e privata - risulti superiore al 50% dell'offerta complessiva di servizio (in concreto richiesta di raddoppio dei contributi ministeriali alle scuole di infanzia paritarie della città di Bologna (a gestione comunale e a gestione privata);
2) richiesta di valutazione di un analogo intervento finanziario nell'ambito del calcolo dei Lep territoriali relativi agli standard di servizio di scuola d’infanzia correlati alla definizione dei trasferimenti statali per l'attuazione del federalismo.

Contestualmente, anche per dare forza e consenso ancora maggiori a questa richiesta, nei confronti delle famiglie, degli insegnanti e più in generale dei cittadini, è fondamentale attuare una programmazione che determini, da parte del Comune di Bologna, un obiettivo sostenibile, realistico, ma di alta qualità per il proprio impegno gestionale diretto.
Quante scuole dell’infanzia comunale “tenere”, quanti interventi diretti per l’handicap e l’offerta di percorsi culturali-educativi mantenere non può essere deciso dal trascinamento di impegni passati e/o dalla disponibilità di altri.
Deve essere una decisione a monte del Comune, parte integrante di un progetto di riqualificazione. Una decisione che valga per un intero ciclo di programmazione, per almeno un decennio, e sappia assicurare risorse, personale e direzione pedagogica adeguati, per ciò che si mantiene, per farne un laboratorio di qualità.
Nello stesso tempo le competenze acquisite in decenni di intervento diretto vanno utilizzate, senza dissipazioni e trascuratezze, in strumenti di documentazione, ricerca, supporto alla vita di tutte le scuole.
Bisogna dunque mettere in luce dove ha un senso storico gestire ancora direttamente, dichiarare che cosa mantenere; creare strumenti di governo più forti per la gestione e costruire un progetto utile alla qualificazione di tutto il sistema integrato cui da tempo, nella pratica, si è dato vita.



Questo discorso è valido soprattutto per le scuole dell’infanzia. Ma in altro modo anche per i poli polifunzionali tecnici e professionali.
Ad esempio, a Bologna, le Aldini-Valeriani-Sirani, dove, con l’assunzione da parte dello Stato degli Istituti scolastici, ed il mantenimento di una serie di servizi formativi e di orientamento in capo all’Ente Locale, si era fatta fatta la scelta, noi così la intendiamo, di mantenere una poliedricità di interventi intorno ad un polo scolastico che veniva riassunto dalla rete delle scuole pubbliche.
Per questo non abbiamo condiviso la derubricazione delle attività dello sportello lavoro.
Adesso si tratta di sviluppare la progettualità dei servizi formativi Aldini, farne veramente un polo di rinnovata qualità ed utilità, con la piena collaborazione con la Scuola vera e propria, statale ma dotata di autonomia e quindi pienamente interlocutrice dell’Ente Locale e del territorio.

Gli interventi scuola-cultura-territorio

Le Aule Didattiche Decentrate sono una specificità ed una peculiarità del territorio bolognese. Nate da un evento di difficile governo, la riconversione dell’impiego professionale dei maestri comunali già nel Tempo pieno, si sono trasformate in un’opportunità di sviluppo e crescita didattica che nel corso del tempo è divenuta fondamentale ed indispensabile ai percorsi formativi degli studenti del territorio bolognese e non solo, in particolare nella fascia d’età compresa tra gli 8 ed i 15 anni. Sono passati molti anni dal loro impianto e non è facile mantenerne la rete, un impegno diretto su tante realtà, e, nello stesso tempo, sono cresciute altre esperienze, di altra provenienza.
E’ un punto di eccellenza quello che è stato raggiunto, non va dimenticato. In quale altra realtà si è fatta crescere e si è mantenuta una rete così fitta di istituzioni culturali aperte alla fruizione didattica e alle scuole?
Oggi la riduzione degli insegnati e degli stessi quadri orari nella scuola pubblica, unita alla progressiva chiusura dell’esperienza lavorativa degli insegnanti comunali e alle difficoltà di bilancio dell’Ente Locale può determinare una situazione di grave arretramento.
Anche qui bisogna programmare e razionalizzare, Fare un programma condiviso da Scuole, Comune, Università e soggetti investitori pubblico-privati per garantire il mantenimento della rete educativa delle aule decentrate.

Questo è ancora un punto centrale attorno al quale fare ancora più emergere, qualificare, quel ruolo autonomo e rispettoso della autonomia delle scuole che, appunto, vede l’ Ente Locale contribuire a fornire un servizio e investire per la qualità di tutta l’attività didattica, di tutte le scuole.

Sintetizzando la nostra volontà di fare, di governare meglio, non solo bene, vogliamo dire che:
-promuovere la scuola pubblica chiamando a raccolta anche altri, tutti i soggetti sociali, anche chi vuole fare impresa, mantenendo un profilo alto anche quando le risorse sono poche, e quindi
- tornare a programmare e scegliere
è difficile ma necessario.
Così come essere per la scuola, come vogliamo essere, per la scuola sempre.

Documento di proposta del Forum Pubblico ""Le scuole e la città"Bologna 10 Novembre 2010

Scuola e città: le due autonomie.

Una scaletta per ragionare insieme

a cura di Ivana Summa

Prima parte: uno sguardo generale sullo stato dell'autonomia scolastica e del governo del sistema.
Lo stato attuale di "blocco" del sistema implica un riorientamento delle politiche dell'istruzione e della formazione all'interno del discorso delle autonomie scolastiche che si vanno configurando come minacciose burocrazie professionali, compatibili con il governo top down (government) e con le logiche di tipo gerarchico (vedasi D.Lgs. Brunetta). Se ne può uscire se si tiene conto dell'emergenza di un campo istituzionale caratterizzato da una pluralità di attori istituzionali e di autonomie, compatibili soltanto con modalità non gerarchiche di governo (governance).In quest'ultima prospettiva, il modello organizzativo delle scuole e del loro governo potrà trasformarsi in senso "comunitario" e partecipativo, senza retrocedere alle forme degli anni'70.Dunque:
• è necessario uscire dalla retorica dell' "autonomia per l'autonomia" che, lasciata alle singole scuole, può degenerare o in forme autarchiche ed autoreferenziali (il POF come strumento di governance interna alle mura scolastiche, ma socialmente irrilevante) o in forme "satellitari" del Ministero, attente ad applicare burocraticamente ogni riforma centralmente elaborata.
• Potenziamo istituzionalmente le "reti di scuole" esistenti sul territorio, leggendo le modalità, le motivazioni, le esigenze che esprimono. Da sole non ce la fanno e diventano sistemi opportunistici per attrarre risorse finanziarie, senza poi lasciare tracce significative sulla qualità dell'offerta formativa. Devono, invece, diventare forme solidaristiche di aiuto e di arricchimento reciproco.
• Valorizziamo le "micropolitiche" di quelle scuole che sanno interpretare politicamente la loro autonomia, facendo scelte strategiche, piani di miglioramento e processi di innovazione didattica, finalizzati al successo formativo di tutti e di ciascuno. Come ci dicono le ricerche, le scuole non sempre hanno saputo interpretare questa potenzialità dell'autonomia scolastica, confinando le innovazioni didattiche alle riforme ordinamentali e curriculari che, a loro volta, ignorano questo l'autonomia di ricerca e sperimentazione, imponendo modelli pedagogici pensati a tavolino (vedi Riforma Moratti) o, peggio, finalizzati ad estirpare la stessa didattica e pedagogia (Vedi Riforme Gelmini), fondative di quasi 50 anni di scuola democratica. L'autonomia delle scuole non può restare un'istanza che - dopo 10 anni - continua a discendere dall'alto (top-down), ma un processo bottom-up che viene messo in moto nel tessuto stesso delle realtà scolastiche e territoriali, in un dialogo virtuoso che apre a tutte le forme di collegialità orizzontali interne ed esterne alle istituzioni scolastiche autonome.
• Rilanciamo con convinzione la "questione educativa" aprendo a scelte che intrecciano in modo denso etica ed epistemologia, secondo la lezione di E. Morin. Non significa rinunciare a saperi e competenze-chiave, ma riempire di valori forti e nuovi incentivi progettuali le innovazioni, le quali non coincidono con le determinazioni normative che, se buone, diventano efficaci.
• Diamo "voce" alle scuole: una voce che sia portatrice dei saperi professionali dei docenti, degli autentici bisogni formativi degli alunni, delle esigenze e delle carenze educative delle famiglie. La scuola che tace è una scuola oppressa e depressa, delegittimata socialmente.
• E' necessario dare corpo ed anima ad un nuovo progetto di scuola; non è operazione semplice ma neanche così impossibile. Richiede impegno, coraggio, orgoglio di ciò che si è fatto in passato con la consapevolezza che non lo si può replicare sia perché è impossibile sul piano economico e sociale sia perché diventerebbe vecchio ed inefficace. Richiede ascolto attento e serio dei docenti, dei loro disagi ma anche delle loro attese professionali.
• E' urgente - intanto- diffondere e risignificare le parole di sinistra che sanno ancora parlare alle scuole: equità, eguaglianza, inclusione, integrazione, cultura, solidarietà, socializzazione, formazione critica, merito (sì, anche merito, nel suo significato costituzionale, art.34,c.2).

Seconda parte: uno sguardo generale sullo stato dell'autonomia scolastica in rapporto alle autonomie del territorio.
Le questioni chiave:
 Le interdipendenze e le interrelazioni tra i diversi soggetti istituzionali presenti sul territorio con le diverse forme espressive di autonomia sono destinate a svilupparsi ancora ed inevitabilmente, dal momento che le riforme vigenti - Titolo V e Legge n. 42/2009 - prefigurano un modello strutturale caratterizzato da una complessa rete di funzioni, poteri, responsabilità. Modello che è necessario orientare, guidare, gestire. Insomma è un modello allo "statu nascente" che può involversi verso forme conflittuali, derive localistiche ed asfittiche (modello leghista), ma che può anche prefigurare forme concertate e virtuose di governo in grado di integrare le risorse di ciascun soggetto e di neutralizzare le debolezze.
 Quando parliamo di sistema di istruzione e formazione, dobbiamo essere consapevoli che ci riferiamo ad una pluralità di soggetti che svolgono funzioni di cui hanno la piena titolarità e per le quali dispongono (o, meglio, non dispongono) di risorse umane, finanziarie e strumentali specifiche. La pluralità dei soggetti deve diventare davvero integrazione tra le diverse espressioni dello Stato Repubblica - Regioni, Comune, province e le stesse autonomie scolastiche - finalizzate alla collettività/comunità destinataria del servizio. In che cosa si distingue questa governance delle autonomie sul territorio dal governo del sistema scolastico da parte del Ministero? La differenza è caratterizzata dal fatto che lo Stato si limiterà a fissare i LEP, ma i territori dovranno negoziare, con la comunità gli standard di qualità del servizio e tornare a concretizzare il diritto allo studio.
 Oggi, gli enti locali - attanagliati dai tagli di bilancio al pari delle scuole - cercano generosamente di garantire i servizi minimi nei confronti dei cittadini, a loro volta alle prese con le nuove incombenti povertà; stanno svolgendo necessariamente funzioni di supplenza, impedendo loro, di fatti, di prestare la necessaria attenzione alle politiche locali di sviluppo qualitativo dell'offerta formativa. Risultato: si sta abbassando paurosamente la qualità del sevizio, nonostante gli interventi degli Enti Locali.
 E' urgente partire dal territorio per elaborare politiche locali integrate e volte a costruire un grande "laboratorio di ricerca e sviluppo" in cui scuole ed istituzioni locali collaborano e cooperano all'interno di un progetto comune. Dunque:
- non più distribuzione di risorse a pioggia, per passare ad una gestione mirata, capace di sostenere e farsi sostenere da "reti" forti, in grado di progettare su tempi medio-lunghi, secondo una logica di sistema, monitorando e valutando i risultati.
- in tempi di crisi paradossalmente è urgente investire in innovazione e qualità. Sono, questi, investimenti di lungo respiro,investimenti "lenti", che puntano sulla formazione delle risorse professionali. E' da almeno 10 anni che non esiste più un sistema di formazione e,dunque, non si sta investendo nell'unica grande risorsa disponibile: le persone e, in particolare, i docenti.
- Infine, per migliorare davvero la qualità dell'offerta formativa, bisogna - come Bologna ha insegnato nei formidabili anni '70 con il tempo pieno e la scuola dell'infanzia e negli anni '80 con i laboratori di territorio che hanno dato un formidabile contributo alla ricerca didattica della scuola - ritornare a scommettere su sperimentate e nuove strategie formative, tese a superare le incombenti nuove povertà culturali delle singole scuole e dei singoli territori.

Comunicazione al "FORUM PUBBLICO Le scuole e la città"
Bologna, 10 Novembre, Sala Passepartout

Qualità educativa e sviluppo del territorio.

Un sistema educativo di qualità per lo sviluppo economico e sociale del nostro territorio.

Paolo Rebaudengo

Forum scuola del PD bolognese. 10 novembre 2010

Quale scuola vogliamo per questo paese? Quale sistema educativo, formativo per i bambini, per gli adolescenti, per i ragazzi? Quale università e quale formazione professionale? Quale educazione e formazione continua?
Per quale lavoro, per quale attività, per quale vita, per quale condizione umana, per quale speranza di felicità, per quale possibilità che ciascun bambino e ciascuna bambina possano diventare il o la Presidente della Repubblica, come diceva la voce di fondo nel documentario “nessuno ci ascolta” del Comune di Bologna sulla ricostruzione della cittàe della scuola nell’immediato ultimo dopoguerra?
Qualcuno di voi saprebbe citare un Paese del pianeta che abbia recentemente deciso di ridurre l’età minima per l’ingresso al lavoro? E’ successo in Italia, riducendola dai 16 anni (in alcuni Paesi europei è a 18) ai 15. Perché è stato fatto? Perché c’è un florido mercato del lavoro minorile? Perché le imprese chiedono, senza trovarli, molti giovani? Assolutamente no, anzi la disoccupazione giovanile è drammaticamente alta, intorno al 30% (è superiore al 20% anche a Bologna).
La ragione è più semplice e anche più penosa: tenere a scuola i ragazzi e le ragazze il meno possibile, specie se di famiglie povere, figli di immigrati, di operai, di disoccupati, che devono andare a lavorare il prima possibile. E così si stabilisce che il contratto di apprendistato possa assolvere l’obbligo scolastico sin dai 15 anni, cancellando l’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni per tornare alle norme precedenti, definite dalla legge Moratti: davvero un grande passo indietro! Fu il Governo Prodi nella Finanziaria 2007 ad innalzare l’obbligo a 16 anni e quindi, conseguentemente, l’accesso al lavoro da 15 a 16 anni. E nello stesso provvedimento di legge del 19 ottobre 2010 si dice che la formazione prevista dai contratti di apprendistato può essere svolta interamente in azienda, mentre peraltro risulta che solo il 20% degli apprendisti partecipi a corsi formativi.
Abbiamo anche noi della sinistra una responsabilità su tutto ciò? Certo, tanto come partito di opposizione (quale attenzione a questi problemi e all’allarme lanciato dalla Cgil? E quale lavoro politico con le ooss? E quali proposte?). E anche da partito di governo, avendo lasciato il guazzabuglio delle norme sull’obbligo di istruzione, obbligo formativo, diritto-dovere, senza un lavoro per dare sistematicità alle diverse norme; proclamando almeno dieci anni di scuola per garantire a tutti un diploma o almeno una qualifica, quando ciò avrebbe dovuto significare almeno undici anni di scuola (cinque di elementari, tre di medie e tre di professionali) per conseguire la qualifica, o tredici per conseguire un diploma. E lasciando il settore delle professionali nel doppio girone di serie B, nei corsi statali, e di serie C in quelli regionali, e senza concludere nulla sulla formazione superiore non accademica.
E sulle due culture del nostro sistema educativo cosa abbiamo fatto? Non parliamo del balbettio sulla riforma dell’Università e sull’inganno dell’università di massa.
Dice Luigi Berlinguer: Il lavoro ed il sapere sono due facce della stessa medaglia: sono la fonte produttiva per eccellenza. Non c’è vera libertà ed effettiva uguaglianza, oggi, senza sapere, senza una sua ampia diffusione ed affermazione. Una società equa ed inclusiva, una democrazia matura ed evoluta, rispettosa della persona, delle sue vocazioni, della sfera dei suoi diritti è oggi possibile soltanto se si garantisce il più ampio accesso al sapere.
Dice ancora Luigi Berlinguer: La nuova scuola deve dare sapere, utilità, competenze. Essa deve dare di più di quello che chiede il mercato del lavoro (ma cosa chiede? aggiungo io) mirare costantemente ad allargare l’offerta formativa. La nuova scuola è la casa dell’utile e del bello, della responsabilità sociale e della creatività. L’alunno deve sentire che è la sua casa, aperta tutto il giorno, tutto l’anno, tutta la vita. E per farla sentire veramente come propria, occorre che la nuova scuola sia strutturata su basi nuove, su spazi aperti, che creino anche fisicamente il senso di una comunità di apprendimento, e che si svolga con tempi flessibili, lunghi, articolati.
Siamo d’accorod, ma come, dove, per chi, con quali risorse?
Si parla spesso di competitività di un Paese, di questi ultimi tempi, per dire che l’Italia lo è sempre meno. Ma cosa sia, se e come si misuri resta nel vago. Recentemente ci ha pensato la Commissione europea, con un Report di quasi trecento pagine, a individuare una “indice di competitività regionale”, attraverso un indicatore basato su più fattori, per tutte le 268 regioni dei 27 Paesi membri. Vi è infatti un crescente interesse per la dimensione territoriale e istituzionale regionale come chiave per la crescita economica e la creazione di benessere. La competitività territoriale è la capacità dell’economia e del sistema sociale di quel territorio di attirare e tenere nel tempo imprese con una fetta di mercato stabile o crescente e contemporaneamente produttrici di standard di vita stabili o in crescita per le persone che vi prendono parte.

La posizione dell’Emilia-Romagna è al 121° posto della classifica europea, seconda regione italiana, dopo la Lombardia (al 95° posto), mentre metà delle regioni italiane si distribuiscono tra la 180° e la 235° posizione. Esaminando singolarmente gli undici indicatori che compongono l’indice possiamo comprendere perché la nostra regione veda, in Europa, 120 regioni davanti (e 147 dietro). Si constatata che per l’indicatore “Istituzioni” (che tiene conto del quadro regolatorio, del funzionamento della burocrazia, del livello della corruzione ecc.), in assenza di sufficienti dati regionali, vengono adottati quelli nazionali, in base ai quali l’Italia è al 24° posto su 27 Paesi!

Anche per la qualità dell’istruzione primaria e secondaria (misurata attraverso i dati dei test di lettura, matematica, scienza dei quindicenni) si adottano i dati nazionali, e anche qui l’Italia fa peggio di quasi tutti gli altri Paesi (è al 23° posto).

Appesantita in partenza da questi dati nazionali, l’Emilia-Romagna risale la classifica grazie all’indicatore relativo all’efficienza del mercato del lavoro (tassi di occupazione, disoccupazione, disoccupazione femminile, mobilità e produttività del lavoro, divario uomini – donne nell’occupazione e nella disoccupazione, politiche del lavoro); a quello della “dimensione del mercato” (PIL, retribuzione dei lavoratori dipendenti, reddito disponibile netto pro-capite, dimensione potenziale del mercato misurata con riferimento al PIL e alla demografia); e a quello della “sofisticatezza delle imprese”. In un’economia regionale il livello di sofisticatezza delle imprese dà una misura della sua produttività, della sua potenziale capacità di rispondere alle pressioni competitive, è il frutto della specializzazione in settori ad alto valore aggiunto, del tasso di occupazione in settori come quelli delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, degli investimenti diretti dall’estero che contribuiscono a rafforzare il capitale e la dotazione tecnologica e il numero delle imprese, dell’interconnessione tra imprese e fornitori, della concentrazione di risorse umane specializzate in settori ad alta intensità di conoscenza e di tecnologia, della disponibilità di venture capital e dell’accesso al capitale finanziario.

Anche l’istruzione superiore e la formazione continua costituiscono un indicatore significativo per le economie regionali più avanzate, come la nostra, poiché mentre la globalizzazione annulla le forme tradizionali di vantaggio competitivo, divengono sempre più importanti le caratteristiche economico-culturali del territorio ove sono localizzate le imprese. Ma anche in questo caso, la collocazione regionale è fortemente condizionata dalle politiche nazionali.

L’Italia è tra i Paesi europei con il maggior divario tra le proprie regioni. Ecco perché scuola e mezzogiorno restano due questioni nazionali prioritarie. La nostra regione rischia di pagare il prezzo più alto, poiché le conseguenze delle politiche nazionali della scuola, dell’Università e della ricerca, della cultura, del fisco insieme alle inefficienze del sistema giudiziario e all’alto livello della corruzione costituiranno un grave impedimento a sviluppare le nostre potenzialità, facendoci fare passi indietro nel cammino della crescita economica e sociale.

Riflessioni sulla scuola e gli Enti Locali.

Gabriella Maini

Sempre più spesso in alcune riviste e siti che affrontano questioni scolastiche, oppure in quotidiani “di nicchia”, leggo interventi professional/politici, molto competenti e affascinanti, sui quali però, vorrei esprimere il mio punto di vista.
In questo dibattito ciò che mi colpisce è la serietà delle analisi e una buona parte di proposte professionali che ritengo avanzate. Ciò invece che mi lascia perplessa è lo “sfondo” o “l’esito”, tutto politico, a cui queste analisi conducono, quasi “prendendoti per mano”.
I presupposti di questi studi minuziosi sono: la valorizzazione di un sistema formativo basato sul merito, l’adeguamento all’Europa, la necessità di un Sistema di Valutazione e, sotto sotto, la ……………. compatibilità economica.
Questo dibattito si è sviluppato da tempo intorno al Sistema Formativo della Regione Lombardia che, a mio parere, nella fase sperimentale può apparire affascinante ed efficiente e sta coinvolgendo anche “pezzi” di sinistra “liberal” e/o efficientista, interessati al risparmio sul welfare, ma alla lunga, sono convinta che creerà le stesse contraddizioni del Servizio Sanitario Lombardo, visto che si basa sugli stessi assunti.
Per questo, come ho già più volte sostenuto, mi piacerebbe che la Regione Emilia Romagna mettesse in campo una proposta compiuta per un Sistema Formativo Locale basato sugli stessi presupposti di quello Sanitario, che garantisce costi inferiori a quello lombardo e, soprattutto, più equità e aderenza ai principi costituzionali.
Ovviamente condivido profondamente la necessità di un Sistema Nazionale di Valutazione e la volontà di raccogliere la sfida del raggiungimento degli obiettivi della Comunità Europea. A mio avviso, fra l’altro, l’Italia potrebbe svolgere un ruolo attivo e propositivo, valorizzando le esperienze di eccellenza che può vantare.
Al contrario essa assume il tipico atteggiamento di “esterofilia” accogliendo le “parole chiave” per “fare immagine”, ma tagliando drasticamente il Sistema Formativo che porterà ad una scuola d’élite per pochi e ad una scuola minimale per gli altri.
A questo scopo si usano le argomentazioni di insostenibilità economica da un lato e, dall’altro, si accusa il Sistema Scolastico Italiano di inadeguatezza. Ciò in quanto ci si basa su risultati mediani delle ricerche internazionali sugli esiti formativi dei ragazzi italiani, che non tengono conto delle ampie zone di degrado e di latitanza dello Stato nel nostro paese, e senza accennare che i dati OCSE-PISA dell’Emilia Romagna e in generale del Nord, ci vedono ai primi posti nelle stesse graduatorie.
L’uso strumentale di queste analisi condiziona pesantemente le opinioni, ma, allo stesso modo, chi vuole sostenere il Sistema Formativo in Italia, non deve difendere tutto e il suo contrario. Per esempio, non si possono difendere le pluriclassi e una rete scolastica non coerente con la normativa dell’Autonomia, oppure una Scuola Secondaria polverizzata in centinaia di specializzazioni, che a volte, forma ancora sezioni di “serie A” e di serie Z”.
La difesa ad oltranza rientra in una logica populista che la destra usa per tagliare su tutto con la scusa di “punire i fannulloni”, mentre la sinistra sembra subire, abdicando al dovere di proposta e di coerenza. Ma questo non paga, al di là delle apparenze e di alcuni risultati immediati (le famose vittorie di Pirro), come ben dimostrano gli ultimi 15 anni di vita politica italiana.

Vorrei qui sviluppare alcuni punti o parole chiave che mi piacerebbe diventassero oggetto di dibattito pubblico, competente e libero da pregiudizi di ogni tipo, da affrontare con il sistema della Ricerca e l’apporto dell’Università, non con il buon senso e i pareri individuali dei singoli opinionisti:
1) il metodo lombardo; 2) pubblico e privato; 3) la competizione; 4) la sussidiarietà; 5) scelte e differenze tra Scuole; 6) scelte delle famiglie; 7) costi dei sistemi formativi; 8) tempi scuola.

Il metodo lombardo
La normativa regionale lombarda sulla Formazione, ancora in fase di prima applicazione, prevede il sistema della “dote”, cioè finanziamenti agli studenti e alle famiglie basato su un articolato mix di Isee, sostegno al reddito e merito.
I soldi ricevuti possono essere spesi liberamente in una rete di Servizi Formativi Pubblici e Privati in competizione fra loro, secondo un approccio definito di “sussidiarietà matura” e su modelli di “quasi mercati” [le definizioni sono tratte dalle elaborazioni di personaggi autorevoli, come Giorgio Vittadini, già fondatore e presidente della Compagnia delle Opere, ora presidente della Fondazione per la sussidiarietà lombarda, patner attivo del Nuovo Sistema Formativo, …. fino a Tremonti], teso a superare l’antinomia tra Stato inefficiente e mercato poco attento al “bene comune”. Il tutto accompagnato da parole chiave quali: libertà, fiducia, responsabilità.
Questo Sistema non deve essere sottovalutato perché si basa su competenze e obiettivi politici chiari e condivisi da molti steicolder e da quella parte di popolazione che si sente liberata “dall’arretratezza dello statalismo”.
Il Sistema lombardo ha messo in moto la competizione tra Scuole con lo scopo dichiarato di attirare iscrizioni sull’onda dell’innovazione della proposta formativa.
A mio avviso quello lombardo è un Sistema Formativo vero, che accompagna la persona dall’Infanzia alla Secondaria, alla F.P. fino alla Formazione per tutto l’arco della vita (per tutti?), come prevedono le direttive europee.
Nei tre anni di applicazione i finanziamenti erogati alle persone con la “dote” sono triplicati razionalizzando e riconvertendo la spesa. Sarebbe bene comprendere in che cosa sia consistita la riconversione e da dove provengono (se ci sono) eventuali nuovi finanziamenti.
Questo sistema ha portato ad un consistente aumento di iscrizioni nelle Scuole Private che è raddoppiato, passando dal 10% al 20% circa in pochissimi anni.
Uno degli obiettivi della Regione Lombardia è quello di una radicale Autonomia delle Scuole che possa permettere anche un reclutamento diretto del personale, selezionandolo da un Albo degli abilitati, contro un sistema pubblico ritenuto ingessato e che non premia il merito.
La mia opinione è che la destra lombarda ha un piano organico, competente e innovativo, che io non condivido per nulla, ma che esiste e può diventare la “vetrina del Sistema Formativo Italiano”.
Tutto questo, però, non deve essere contrastato con slogan o proteste sterili. Per questo sono convinta che in Emilia Romagna dovremmo mettere in campo il coraggio, la responsabilità, la sobrietà e le forze migliori, per costruire un Sistema alternativo.

Pubblico e privato
Non condivido analisi ideologiche sulla dicotomia pubblico/privato, ma trovo poco rigoroso e “furbetto” bollare di ideologismo qualsiasi tentativo di confronto di merito sull’argomento. Mi piacerebbe che si lavorasse su questa questione in termini di ricerca, senza pregiudizi.
Io mi limiterò a soffermarmi su alcuni punti.
I costi del pubblico sono quelli del puro costo del servizio se si eliminano le inefficienze, anche se si mantengono rapporti corretti di lavoro che, nell’impostazione democratica e costituzionale, fanno civismo e ricchezza complessiva perché garantiscono i diritti e permettono una capacità di spesa e di investimento delle famiglie che è reinvestimento economico sul territorio.
E’ chiaro che il governo dei servizi, il controllo sulla trasparenza e l’efficacia, la formazione dei lavoratori, ecc, devono essere reali, ed in Emilia Romagna abbiamo dimostrato che si può fare, anche se si può sempre migliorare.
I costi del privato, invece, possono essere molto più flessibili e gerarchici perché possono avvalersi di lavoro precario, sottopagato e anche nero.
Questa flessibilità del lavoro permette di competere, almeno in una prima fase, ma alla lunga, quando i servizi sono stati delegati, i costi lievitano, senza necessariamente migliorare né le condizioni di lavoro dei lavoratori né la qualità dei “prodotti” offerti, ma semplicemente aumentando i guadagni delle imprese. Contemporaneamente tendono ad aumentare le prestazioni non sempre utili o indispensabili (in Sanità, per esempio, nel privato aumentano gli esami clinici e anche le operazioni).
D’altra parte il privato deve guadagnare dal mercato, “non è lì per fare beneficenza” e nemmeno per fare “patta” come il Pubblico.
Personalmente, in Emilia Romagna, ho sempre trovato più adeguati e meno costosi (per la collettività, non solo per il singolo, ovviamente) i servizi pubblici rispetto a quelli privati, se si guarda alla sostanza e non “all’immagine”. E se si educa a questo.

Competizione
Personalmente ritengo che la crisi economica globale abbia ben dimostrato come il mito della competizione sia miseramente fallito producendo più povertà e più conflitti.
Figuriamoci come può funzionare nei sistemi di welfare che hanno la “mission” di garantire diritti ed equità costituzionali e che non producono risorse economiche, essendo investimenti di solidarietà sociale (da non confondersi con l’assistenzialismo che è colpevole inefficienza dei sistemi di tutela).
In un Sistema Scolastico in competizione, è così azzardato immaginare che invece di misurarsi sulla qualità e l’efficacia, le Scuole possano vendere “immagine” più che contenuti? e che la ricerca dell’accaparramento dei soldi e del “cliente” produca populismo e accondiscendenza, invece che orientamento vero e formazione?
Potranno anche emergere Scuole realmente di qualità superiore, ma non potranno accogliere tutti. Esse saranno a numero chiuso e presumibilmente avranno prezzi più alti. Sarebbe questo il modo di garantire l’equità e le pari opportunità previste dalla Costituzione Italiana?
Andrea Segrè, preside e professore della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna, che ha ideato il sistema di recupero e di riutilizzo dei prodotti alimentari invenduti (e che non è un pericoloso rivoluzionario), scrive nei suoi libri, e per me dimostra, che la competizione e lo spreco sono inefficienze dei sistemi.

Sussidiarietà
Oggi la parola sussidiarietà sembra voler dire quasi tutto.
La si può intendere in termini federalisti, cioè la suddivisione di competenze tra Enti Pubblici (compiti dello Stato, delle Regioni, dei Comuni ….), oppure come deleghe al privato economico, al privato sociale, fino alle Fondazioni.
Spesso si distingue tra delega della gestione del servizio al privato e “governo del sistema”. La distinzione è teoricamente corretta, ma in Italia, per la nostra storia e per lo scarso senso dello Stato e della Costituzione, i sistemi privati o misti, legati al welfare (e non solo), non si sono mai dimostrati di particolare qualità. Questo sia perché il “governo reale dei sistemi” lo si fa sempre in modo burocratico, aprioristico e sulla carta, sia perché i controlli risultano scarsissimi e inefficaci, sul piano tecnico e su quello politico.
Per questi motivi, quasi sempre, il risultato è l’autosufficienza e la disomogeneità delle offerte, non la costruzione di un Sistema.
Anche se è vero che, a fronte di qualità diffuse piuttosto scarse, si trovano anche vere eccellenze, nel privato. Questo, però, è un problema, non un elemento positivo, se si devono garantire i Diritti Costituzionali di pari opportunità e non livelli differenziati di accesso. Peraltro, i servizi consolidati offerti dal privato finiscono per essere complessivamente più costosi, se si calcola la spesa dei cittadini e il finanziamento Pubblico (questo non avviene ancora completamente per la Scuola, proprio per i “paletti” costituzionali sui finanziamenti).
Personalmente ritengo che qualsiasi collaborazione col privato, sociale o no, sia utilissima, ma non condivido che siano delegate le Funzioni Pubbliche perché, nonostante ne abbia visti tanti, non conosco casi, in Italia, di migliori esiti dei servizi di welfare delegati ai privati, se l’obiettivo vuole essere la garanzia di Equità e di Pari Opportunità, non l’eccellenza per pochi.
Ora si parla tanto di volontariato e di privato sociale. Essi sono sicuramente importantissimi e utilissimi socialmente, ma, al pari del “privato di mercato”, anche loro hanno diritto alla libertà di scelta, di orientamento e di intervenire solo in relazione alle loro “mission”.
Questo, però, equivale a dire che tutto ciò che è privato, non è tenuto a garantire l’eguaglianza e le pari opportunità avendo, giustamente, il diritto di praticare e diffondere le proprie opzioni culturali, religiose, politiche, ecc.
Nei servizi e nella formazione, però, è indispensabile garantire i diritti costituzionali, altrimenti si entra nella logica della separazione che l’Italia non ha mai perseguito, contrariamente agli Stati Uniti.
Con questa logica ogni associazione si occuperebbe dei suoi adepti: la Chiesa cattolica potrebbe offrire scuole e servizi ai cristiani, l’associazionismo degli stranieri si occuperebbe dei propri simili, i musulmani dei musulmani, le associazioni dei disabili dei disabili, forse i “migliori” si occuperebbero dei superdotati, ecc. E tutto questo potrebbe avvenire con il sostegno economico pubblico, che sarebbe sempre inferiore alla gestione diretta.
E’ molto probabile che nessun gruppo impedisca l’adesione anche degli “altri” nelle proprie scuole, ma questi dovranno sottostare alle scelte degli Enti. Inoltre se nessuna impresa o associazione si occupasse di una certa categoria?
Per fortuna che per cambiamenti di questa portata bisognerebbe cambiare la nostra Costituzione, visto che si perderebbe tutto il senso culturale e sociale dello stare insieme tra diversi che ha ispirato i nostri Padri (e Madri) Costituenti.
E’ vero che si possono realizzare Accordi e Protocolli “di garanzia” tra Enti Pubblici e Privati, ma, a parte i problemi di controllo reale già citati, è possibile e corretto pretendere che il volontariato rinunci alla propria “mission” in cambio di accreditamento e di soldi? O non è in contraddizione con gli ideali di libertà, di correttezza e di trasparenza?
Infine: il ruolo delle Fondazioni bancarie è indubbiamente fondamentale per pattuire sostegni finanziari per opere meritorie (sociali,, culturali, …..), ma l’esperienza dimostra che, alla fine, dopo aver ascoltato tutti e/o aver fatto bandi, ecc, scelgono loro cosa finanziare. E questo vuole dire che, pur essendo utilissime, anche le Fondazioni non rispondano a criteri di Equità Pubblica e di garanzia di Diritti Costituzionali, anche quando collaborano col Pubblico.
Per questo ritengo che gran parte del welfare e il Sistema Formativo debbano essere pubblici con standar nazionali e forti interventi “federalistici” integrativi delle Regioni, basati su Progetti e Obiettivi Formativi Locali.
Come fa la Lombardia, ma in Emilia Romagna mi piacerebbe che ci fosse un Sistema alternativo.
In Lombardia la Fondazione per la Sussidiarietà contribuisce al Sistema Formativo Locale e la sua mission è sicuramente coerente con il progetto di Formigoni, ma in Emilia Romagna dovremmo costruire un progetto autonomo, come sulla Sanità.

Scelte e differenze tra scuole
Partendo dal presupposto che la libertà di scegliere la Scuola non è una libertà costituzionalmente garantita, è opportuno chiedersi se sia davvero possibile scegliere liberamente ovunque, non solo per le differenze Nord/Sud, ma anche per le diversità tra aree metropolitane e periferie, o per le difformità delle opportunità personali.
In Italia siamo ancora assolutamente lontani da un’idea di rete scolastica efficiente e rispettosa della normativa dell’Autonomia Scolastica, e questo non garantisce a tutti le stesse opportunità, ma non si è mai visto che il privato investa nei territori piccoli e disagiati. Qui è già quasi impossibile la sola scelta dei tempi lunghi anche nella scuola pubblica e al massimo si offre un po’ di doposcuola. Alla faccia della libertà di scelta!
Io credo che il Servizio Pubblico Locale debba garantire un’Offerta Formativa in tutte le Scuole dell’obbligo per tutti i bambini, con le specifiche differenze territoriali, ma con l’obiettivo di fornire ai ragazzi conoscenze e competenze rispetto a tutte le opportunità formative di base, senza anticipare specializzazioni o indirizzi che sarebbero prematuri, e non darebbero la possibilità di scelte consapevoli.
Solo verso la fine della scuola dell’obbligo potrebbe iniziare una graduale differenziazione delle opportunità e solo nel percorso successivo, la differenziazione potrebbe realizzarsi anche con percorsi personalizzati e flessibili.
Ma tutte le Scuole dovrebbero fornire le offerta e i percorsi migliori. Se si sostiene che le Scuole devono mettersi in concorrenza, vuole dire implicitamente che l’obiettivo della governance non è più quello di garantire che le scuole offrano a tutti le stesse opportunità, ma è quello di legittimare che qualcuno abbia scuole migliori e altri no.
Non dice questo la Costituzione.

Scelta delle famiglie
Nel nostro mondo globale e in Italia, dove il potere mediatico è in grado di orientare scelte, stili di vita e persino il voto di gran parte della cittadinanza, come si può credere che le scelte personali di formazione, liberate dagli “orpelli” pubblici, ma condizionate dalla pubblicità e dalla concorrenza, siano esercitate in modo appropriato e utile?
In tutti i campi i condizionamenti sono molteplici: dalla pubblicità implicita o esplicita, alla capacità di essere sempre obiettivi e coerenti nelle nostre scelte quotidiane.
Il consumismo a cui abituiamo i bambini o le scelte alimentari, per esempio, sono spesso pure contraddizioni rispetto ad un sano stile educativo e di vita. Siamo portati ad adeguarci a mode comode e alle richieste dei figli che, in certe circostanze, evitiamo di contrariare quasi a priori. A volte, anche in famiglia, finiamo per diventare un po’ tutti populisti.
Ma poi siamo sicuri che ognuno sia consapevole dei propri bisogni formativi, delle proprie attitudini, abilità, competenze, o di quelli dei nostri figli?
Oppure in un sistema in competizione corriamo il rischio di essere condizionati dalle suggestioni interne al “mercato”, più che dai bisogni formativi personali?
La competizione non può determinare l’aspettativa del cliente “soddisfatto o rimborsato”, visto che la formazione necessita di tempo, di impegno e di fatica, ma che quando si paga si ha un po’ la pretesa di “essere accontentati”?
Quando si sceglie per i propri figli, ognuno sceglie per quello che ritiene il loro bene, ma in un sistema in competizione, i “consigli” e gli orientamenti, saranno davvero in grado di evitare che alcuni figli di avvocati o di medici possano trovare autonomamente la loro strada, senza essere obbligati ad iscriversi al liceo classico, arrivando a diplomarsi o a laurearsi dopo aver sperimentato scuole e corsi privati pagati “a peso d’oro”? O, al contrario, la competizione potrà evitare che i figli di migranti o di casi sociali arrivino a malapena alla fine dell’obbligo, perché non hanno sufficienti supporti esterni, anche se sarebbero in grado di proseguire gli studi?
La LIBERTA’ <….. non è star sopra un albero ….. o il volo di un airone…..>, e, per me, non è nemmeno il liberismo personalizzato e solitario dell’impostazione formativa lombarda.
Io credo che sia l’applicazione della nostra Costituzione che garantisce libertà e pari opportunità, quando dice che <…la Repubblica deve garantire a tutti la formazione adeguata …. e che i capaci e i meritevoli…> vanno supportati e avvantaggiati. Quale migliore sintesi tra diritti e merito?

Costi della Scuola Pubblica
La mia opinione è che si enfatizzino sempre troppo certi dati sulla Scuola, per dimostrare, da destra, che il sistema è inadeguato e non è sostenibile, giustificando così cambiamenti e tagli. Contemporaneamente la sinistra, a volte, sembra che abbia l’obbligo morale di sostenere l’italica esterofilia.
Credo invece che se ci facessero analisi serie (magari da delegare alle Università da parte delle Autorità Locali), comparando davvero dati simili e partendo dagli stessi presupposti, probabilmente non continueremmo a mettere insieme le famose “capre con i cavoli”, che tutti utilizzano per dimostrare ciò che fa più comodo.
1) Per esempio l’Italia sembra avere l’incidenza più bassa della spesa dell’Istruzione sul Pil, rispetto agli altri paesi europei. Poi diciamo che i nostri costi per la Formazione sono insostenibili (e bisogna privatizzare)!
2) Oppure ci si scandalizza perché oltre il 90% della spesa per l’Istruzione viene utilizzata per le retribuzioni del personale che, peraltro, in Italia risulta avere stipendi più bassi che in Europa. Ma lo scandalo dovrebbe essere che in Italia si spende solo per pagare il personale e manca qualsiasi investimento sugli strumenti di lavoro, sulla ricerca, sugli edifici, ecc; persino la formazione e gli aggiornamenti sono pagati dagli insegnanti volonterosi e non rientrano nella spesa formativa.
3) Anche quando si confrontano gli stipendi degli insegnanti tra i vari paesi, però, bisognerebbe che il calcolo si facesse tenendo conto del costo della vita, delle garanzie e della sicurezza del lavoro, dell’orario, delle carriere, degli obblighi di servizio, dei diritti/doveri ……., altrimenti si continua solo a fare populismo ed esterofilia.
4) Veniamo all’annosa questione della percentuale di alunni per classe (premesso che personalmente ritengo che una seria e sana rete scolastica come previsto dalla legge dell’Autonomia sarebbe un “atto dovuto” che creerebbe maggiore qualità ed efficacia): non si tengono minimamente in conto le differenze tra tempi lunghi e tempi brevi, ma soprattutto non si calcola assolutamente il costo dell’inserimento dei disabili. Questa scelta, oltre ad essere un segno di civiltà e di qualità educativa e sociale che qualche paese europeo sta cercando di imitare, ha costi che negli altri Stati non appaiono, perché vengono calcolati sotto altre voci nel campo sociale, sanitario, assistenziale. Questi costi pare che siano altissimi, probabilmente molto più alti dei nostri, ma è possibile studiare i dati?
5) L’esercito degli insegnanti italiani di Religione Cattolica fa media?
6) In altri paesi sono previsti i costi per il mantenimento o per i prestiti ai giovani studenti per permettere la formazione a tutti. Costi che da noi non esistono o sono risibili.
7) In alcune Regioni d’Italia, come la nostra, gli Enti Locali investono moltissimo sulla Scuola per strutture e strumenti scolastici, per laboratori e ricerca, persino per gli insegnanti di Scuola dell’Infanzia. Come viene calcolato tutto ciò?
La sensazione è che si facciano analisi senza “contare le stesse cose”.
A me piacerebbe avere un quadro realistico dei costi, per un confronto vero, libero, per compiere analisi chiare e trasparenti, senza il tentativo di dimostrare ciò che fa comodo o che è coerente con una tesi o con l’altra.
Fino a prova contraria (e sarei grata a chi mi dimostrasse il contrario), rimango dell’idea che la Scuola Pubblica (non solo statale, ma anche quella degli EELL) costi meno della Scuola Privata, anche a parità di prestazioni.
Infatti nei paesi che hanno sistemi misti o prevalentemente privati, i costi per la Formazione appaiono più alti, a volte anche di parecchio. La differenza di costo è dovuta a migliore qualità ed efficienza, o al fatto che il privato produce costi più alti?
E rispetto al diritto universalistico all’Istruzione, il privato lo garantisce meglio, allo stesso modo o peggio? Obama vuole allargare il Sistema Formativo Pubblico in America. E’ un visionario?
Io credo che in Italia dovremmo ricostruire un Sistema Formativo Pubblico basato sull’Autonomia Scolastica e su un Federalismo intelligente.

Tempo Scuola
Sono una grande sostenitrice dei tempi scuola lunghi, almeno da 1 a 11 anni.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado (a parte che andrebbe rivisitato il sistema), il tempo scuola uguale per tutti potrebbe attestarsi sulle 33 ore settimanali, più eventuali arricchimenti opzionali, approfondimenti e recuperi, visto che i ragazzi sono più grandi e che per una formazione efficace servono anche tempi di studio individuali.
La scuola Superiore, poi, potrebbe avere un tempo per tutti di circa 30 ore aumentando, però, i tempi flessibili con percorsi e piani di studi più individualizzati, da scegliere sulla base di interessi, attitudini e prospettive di lavoro dei ragazzi.
Spesso si sente dire che i tempi scuola sono ininfluenti rispetto agli esiti scolastici, magari perché si confrontano paesi diversi senza minimamente tenere in considerazione le storie locali e i contesti sociali dove si realizzano.
In alcuni paesi infatti l’orario scolastico è relativamente breve, ma vi è un livello culturale mediamente alto, le opportunità formative e ricreative sono diffuse e l’analfabetismo non esiste da secoli.
In Italia, invece, dove gli investimenti culturali sono bassissimi e dove il livello di analfabetismo nel dopoguerra era elevatissimo, sono stati fatti sforzi immani per recuperare il gap nel corso degli ultimi 50 anni del secolo scorso.
In quegli anni sono stati studiati e attuati sistemi e metodi realmente innovativi ed efficaci per migliorare la formazione e attuare il mandato costituzionale di equità e scolarità.
Il processo ha avuto grande valore progettuale e originalità tutta italiana. Nidi, Scuole dell’Infanzia, tempi scolastici lunghi, sperimentazioni, tempi distesi per attività laboratoriali che favoriscono l’apprendimento attraverso l’esperienza, …. hanno cambiato il nostro Sistema Formativo, soprattutto dove è stato attuato correttamente, come nel Nord e in Emilia Romagna.
Fra l’altro questo sistema, se fosse applicato ovunque, sarebbe perfettamente coerente con le indicazioni dell’Unione Europea che chiede competenze e non solo conoscenze.
Probabilmente non serve una scuola di 8 ore al giorno in una società dove i genitori sono alfabetizzati da secoli, dove libri e giornali hanno una diffusione alta, dove le televisioni forniscono una pluralità di opportunità, dove teatri, attività culturali per adulti e bambini non sono eventi eccezionali o per un’elite, e dove il lavoro dei genitori ha garanzie economiche e tempi diversi dei nostri.
Ma in Italia si taglia sulla cultura e le opportunità, soprattutto per i bambini, sono scarsissime, fra l’altro con enormi differenze territoriali.
In Emilia Romagna e generalmente al Nord, l’unica vera rete extrascolastica è quella sportiva, ma per quanto la percentuale di frequenze sia elevata, è ben lontana dal coprire la totalità dei ragazzi, con forti differenze tra città e periferie, tra bambini che hanno nonni e beby sitter e quelli che non ce l’hanno: perché i bambini vanno anche accompagnati, mentre per andare a scuola ci sono gli scuolabus.
In questa situazione, le scuole dei tempi distesi forniscono in modo universalistico formazione accessibile a tutti, ma anche opportunità che diversamente non sono disponibili per tutti nel contesto sociale: sport, arte, musica, …..
E sono convinta che se si facessero bene i conti, i costi non sarebbero più alti di quelli di altri Sistemi Formativi. Inoltre per comparare davvero costi ed esiti formativi tra Paesi Europei –sempre che si aspiri ad una formazione per tutti in grado di creare futuro e benessere- andrebbero calcolati molti alti costi sociali e culturali che in Italia sono scarsissimi, soprattutto per l’infanzia e l’adolescenza.

Negli ultimi 10 anni, invece è stata fatta una politica unilaterale per ridurre il servizio scolastico per molti ed eventualmente garantire eccellenze per pochi. Ma ciò porterà ad un ulteriore arretramento sociale, economico, culturale e del benessere complessivo; aumenterà l’analfabetismo di ritorno e l’analfabetismo sia tra la popolazione immigrata, sia tra le fasce sociali che stanno impoverendosi.
Altro che competizione globale!

Scuole e città. Negoziare le conoscenze

Franco Frabboni

Da alcuni decenni, il sistema di istruzione emiliano-romagnolo (apripista riconosciuto di una scuola 3 volte E: Efficiente, Efficace, Equa) ha dato le ruote a un sistema formativo “integrato” che si qualifica per la messa a disposizione di aule didattiche/più sia all’utenza dell’obbligo, sia a quella del postobbligo. Come dire, la nostra Regione dispone di un sistema di istruzione - a base territoriale - dove la scuola pedala sullo stesso tandem con le “teche” (ludoteche, biblioteche, museoteche, pinacoteche, musicoteche, mediateche) disseminate nei contesti urbani e nelle aree interne. Rinforziamo il concetto. Dagli anni ottanta, il territorio regionale ha inaugurato un fecondo rapporto di “reciprocità” tra la cultura del dentro-scuola e quella del fuori-scuola secondo linee di complementarità delle rispettive risorse educative. Questa, la finalità perseguita. Il tramonto di un sistema di istruzione corpo/separato dalla variopinta rete delle agenzie formative presenti nei tessuti cittadini e periferici.

UN DIECI TONDO AULE DIDATTICHE DECENTRATE. - Questo sistema di istruzione “integrato” - che brilla di luce intensa sulle nostre pianure e colline - gode di eccellenti voti pedagogici e didattici. Ne citiamo cinque.
(1) Bel/voto alla pratica dei Laboratori extrascolastici, il cui merito é di ridimensionare la persistente egemonia dell’aula-classe quale unico luogo capitalizzazione delle conoscenze. (2) Bel/voto al rispetto gli Stili cognitivi di ciascun allievo, proprio perché le aule didattiche/più favoriscono l’ apprendimento su-misura. (3) Bel/voto alla Negoziazione attiva e creativa delle conoscenze da parte degli allievi: impegnati a progettare, costruire e verificare - insieme - i saperi raccolti nel territorio. (4) Bel/voto a un’istruzione che vola nei cieli della Ricerca: nel fuori-scuola si impara a curiosare e a scoprire - da soli e/o in gruppo - le conoscenze. (5) Bel/voto a una compiuta Integrazione degli allievi in difficoltà nei processi di socializzazione e di apprendimento: proprio perché nelle aule didattiche decentrate i disabili si sentono in sintonia con il loro mondo di cose e di valori.

UN VOTO IN PIU’: LA LODE. Nelle contrade del nostro Paese dove si negoziano le conoscenze tra la scuola e la città nascono ben visibili passioni e mobilitazioni popolari nel nome dell’educazione delle giovani generazioni. Sono territori che si popolano di larghi/girotondi tra studenti, insegnanti, genitori, enti locali, volontariato, parrocchie. Il tutto nel nome di un’istruzione democratica: per i ricchi e per i poveri, per gli abili e per i disabili, per gli italiani e per gli extracomunitari. E’ un crescente movimento di protesta contro la “riformicchia” della Gelmini: in grado di dare vento alle bandiere di un popolo progressista che difende con i denti la sua scuola “pubblica”. La sola garante sia del diritto di tutti gli allievi allo studio (antidoto contro ogni rigurgito discriminatorio), sia di un’elevata qualità dell’istruzione (antidoto contro ogni sapere coccodé).