lunedì 20 dicembre 2010

Dalle politiche per il diritto allo studio al sgoverno territoriale del sistema formativo.

Gabriele Ventura

Il diritto allo studio: dagli indirizzi costituzionali alle legislazioni regionali
Gli articoli 3,9,33,34 della Costituzione italiana forniscono principi che, intrecciati con le funzioni individuate in capo alle regioni (artt. 117 118 e seguenti), determinano un quadro sufficientemente chiaro di riferimento per l'attuazione delle politiche per il diritto allo studio di regioni ed enti locali. Per via di legislazione ordinaria sono stati poi definiti più precisamente competenze e contenuti specifici, nel corso degli anni ‘70 (Legge 382/75 e DDL 616/77) e poi degli anni ’90 (Legge 59/97 e D.Lgs. 112/98).
Alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000 sono state poi approvate norme di grande rilievo in ordine alla struttura istituzionale, alla architettura curricolare e ai meccanismi gestionali del sistema formativo e scolastico: autonomia scolastica (Dpr n. 275/99), innalzamento del diritto-dovere di istruzione, riordino dei cicli dell'istruzione (prima Legge 30/2000 e poi Legge 53/2003 e relativo Decreto attuativo n.59/2004), parità scolastica (legge 62/2000). Queste norme hanno istituito nuovi elementi strutturali di contesto (es. gli istituti comprensivi e i Piani dell’offerta formativa, il curricolo locale) che ridisegnano la cornice in cui collocare gli interventi per il diritto allo studio.
Infine occorre segnalare l’approvazione parlamentare nel maggio del 2009 della delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale secondo quanto stabilito dall'art.119 della costituzione (cfr. legge n.42/2009).
In questo quadro diventa logico prevedere la necessità di una revisione delle legislazioni regionali vigenti e possibilmente anche l’emanazione di una legge nazionale di indirizzo (tuttora inesistente..) allo scopo di definire alcuni livelli essenziali di prestazione anche in questo campo.
Il panorama nazionale in ordine alla legislazione regionale vigente in materia di diritto allo studio si presenta quanto mai variegato. Esistono regioni che hanno legiferato fin dall’inizio del processo di decentramento e poi hanno aggiornato le norme nel corso dei decenni successivi in relazione alla evoluzione del quadro normativo inerente la scuola e i servizi sociali ed altre che invece non hanno prodotto nulla di simile. Tutte le regioni risultano aver approvato una legge di settore ma la consultazione della tabella riportata in appendice dà conto del fatto che solo un numero ridotto di esse ha provveduto ad aggiornare le norme dopo il 2001 e cioè dopo la revisione del Titolo V e l’approvazione della legge di parità. Emilia Romagna e Lombardia rappresentano in questo senso un esempio virtuoso di iniziativa e di sperimentazione di pratiche innovative.
La legislazione regionale per il diritto allo studio
A partire dall’inizio degli anni ‘80 due concetti chiave hanno rappresentato il cuore della legislazione regionale più qualificata in materia: il concetto di facilitazione all’accesso al sistema scolastico e il concetto di qualifica¬zione dell’offerta formativa.
Questi due principi hanno costituito ad esempio gli elementi fondativi dell’impianto della prima legge regionale emiliana sul diritto allo studio approvata dopo i decreti delegati degli anni 70 (L.r. n.6/83) e sono stati in seguito sostanzialmente confermati nelle revisioni approvate nel corso degli anni novanta e nei primi anni del 2000 (l.r. n.52/95 e l.r. n. 26/2001).
Il combinato disposto delle due leggi regionali approvate in Emilia dopo la riforma del Titolo V (L.r.n. 26/2001 e n.12/2003) ha realizzato una prima sistemazione dell'intera materia nel nuovo quadro normativo. ma i poteri attribuiti alle Regioni dalle norme vigenti in materia di programmazione e gestione della rete scolastica, di miglioramento dell'offerta formativa, di erogazione dei contributi alle scuole non statali sono di più ampia portata strutturale.
Anche il quadro normativo regionale su riferito pertanto dovrebbe ora essere ulteriormente precisato ed ampliato nella prospettiva di una assunzione progressiva delle funzioni di governo complessivo su base territoriale del sistema nazionale di istruzione da parte delle Regioni prefigurato prima dall’art.139 del D.Lgs. 112/98, poi dalla sentenza n. 213 /2004 della Corte Costituzionale.
E’ da segnalare inoltre come anche alcuni orientamenti di politica scolastica di carattere generale ampiamente condivisi relativi ad es. alla diffusione degli istituti scolastici comprensivi e alla costituzione di reti di scuole per ambiti territoriali omogenei che sono connessi alla piena attuazione dell’autonomia scolastica oppure relativi alla formulazione di adeguati indirizzi per la elaborazione dei Piani dell’offerta formativa, attraverso una corretta pratica della quota del curricolo locale previsto dalla normativa vigente nella misura del 20% del monte ore stabilito per i diversi ordini di scuola a livello nazionale, implicano un adeguamento delle pratiche fin qui consolidate.
Un possibile punto di snodo concettuale in vista di una siffatta elaborazione progettuale consiste nello sviluppo del duplice significato del concetto di diritto allo studio e delle pratiche pubbliche che da questo sono state variamente derivate nella legislazione regionale:
- Diritto allo studio come diritto soggettivo individuale (prevalentemente nel campo dell'accesso al sistema scolastico)
- Diritto allo studio come interesse legittimo collettivo (prevalentemente nel campo della qualificazione dell’offerta formativa scolastica ed extrascolastica).
L’aggiornamento di questo approccio di tipo binario nella attuazione delle politiche per il diritto allo studio rappresenta dunque un terreno fertile di ricerca sul piano tecnico e amministrativo. Appare anche evidente che l'esistenza o meno di un adeguato apparato tecnico gestionale a livello locale costituisca uno degli snodi strategici determinanti per approfondire con qualche possibilità di successo le sfide che si pongono sul piano della progettazione, della gestione, della concertazione con i vari attori sociali e istituzionali presenti nel territorio e interagenti come destinatari e interlocutori in questa prospettiva.
Una iniziativa di livello regionale per la istituzione di forme stabili di consulenza e di coordinamento pedagogico in tutte le tipologie di gestione di scuola d’infanzia (comunale, paritaria privata e statale) e/o di funzioni di raccordo e sostegno per una attuazione qualificata dei Piani di zona previsti dalla legge 328/2000 costituisce un elemento di tipo strategico in questo senso.
E’ poi possibile distinguere nell'azione pubblica nel campo del diritto allo studio due tipologie: servizi e interventi, due ambiti: scuola ed extra scuola e due finalità: accesso e qualificazione.
Le tipologie di intervento: servizi e interventi
Entrambe le tipologie di azioni possono riguardare sia l'accesso che la qualificazione del sistema scolastico e formativo. Si distinguono per il grado di complessità e la caratterizzazione (individuale o collettiva) dei destinatari.
Per quanto riguarda la tipologia "interventi" si tratta per lo più di iniziative a prevalente contenuto finanziario e a destinazione prevalentemente individuale. Derivano dal concetto di "provvidenze” esplicitato nell'art. 42 del DL. 616. Riguardano borse di studio, trasporto scolastico, refezione, prolungamenti di orario nella scuola dell'obbligo, fornitura dei libri di testo, ausili e sussidi didattici particolari. Sono interventi obbligatori e sono riscontrabili in tutti i comuni capoluogo della regione. Alla stessa categoria di azioni appartiene l'assistenza per l'integrazione dell'handicap in derivazione della legge 104/92 e degli accordi di programma provinciali applicativi. Sono interventi che vengono svolti per tramite personale esterno (cooperative, associazioni) oppure per tramite di personale interno (educatori comunali).
In alcuni altri casi si riscontrano elementi di complessità organizzativa derivata dalla necessità di prevedere modalità di gestione di servizi che, pur essendo attivati a domanda individuale, hanno un carattere collettivo (trasporto scolastico, refezione scolastica, prolungamento di orario). In questo caso l'intervento finanziario si trasforma in servizio a tutti gli effetti. E' il caso dei comuni medio grandi con particolare riferimento ad es. al servizio di refezione scolastica, a volte attivato con proprio personale e propri centri di produzione pasti o in regime di gestione esterna.
Nei piccoli comuni persiste con maggiore frequenza la modalità di gestione diretta del servizio di trasporto scolastico collettivo (attraverso l’utilizzo di scuola bus) rispetto a quanto accade nei comuni di maggiore dimensione dove prevale di norma la gestione esternalizzata.
Gli ambiti di intervento: scuola ed extra scuola
L'individuazione del più ampio sistema formativo (scolastico ed extra scolastico) come ambito di destinazione delle politiche per il diritto allo studio ha costituito la chiave di volta dell'impianto culturale e della gestione amministrativa di tutti i programmi regionali, provinciali e comunali negli ultimi 25 anni nel campo del diritto allo studio.
Alla tradizionale attività dei servizi estivi si sono aggiunti strada facendo interventi per le qualificazioni delle aree verdi, per l'utilizzo in orario extrascolastico degli spazi scolastici, interventi di prevenzione, animazione e socializzazione rivolti ai preadolescenti e agli adolescenti.
In questa prospettiva è evidente che l’integrazione delle politiche per il diritto allo studio, con le politiche sociali, le politiche di promozione culturale, di sostegno dell'associazionismo e del volontariato, di orientamento scolastico e professionale costituiscono il nucleo di una sfida per la qualità dell'azione pubblica tanto più in un quadro di trasformazione continua dello sfondo sociale e di innovazione negli assetti istituzionali dello stato in senso federalista.
Le finalità di intervento: accesso e qualificazione.
L'estensione del significato del termine diritto allo studio da una origine esplicitamente assistenziale a un contenuto promozionale e qualitativo ha variamente orientato le scelte di tutte le regioni e le amministrazioni locali nell’ultimo ventennio.
I servizi e gli interventi per l'accesso previsti dalle leggi regionali sul diritto allo studio hanno rappresentato nel tempo la continuità e la qualificazione di un sistema di provvidenze consolidate (refezione e trasporti scolastici, forniture gratuite dei libri di testo agli alunni disagiati, servizi integrativi dell'orario scolastico, borse di studio per gli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, fornitura gratuita di sussidi didattici e ausili per gli alunni handicappati, ecc.) ed altre di più recente definizione normativa (legge 104/92 per l’integrazione scolastica e sociale degli alunni handicappati) estendendone i benefici (in quanto corrispondenti a diritti soggettivi individuali) agli alunni delle scuole private, attraverso la verifica dei requisiti delle condizioni di diritto dei singoli.
In questo ambito sarebbero da verificare alcuni elementi significativi di carattere strutturale nelle politiche regionali per il diritto allo studio.
Per quanto riguarda la programmazione ad esempio occorrerebbe verificare se le procedure attuative prevedono o meno piani triennali di indirizzo e piani annuali di gestione, un ruolo di promozione e di coordinamento da parte delle Province in fase di erogazione.
Per quanto riguarda la gestione occorrerebbe verificare l’esistenza o meno di parametri quantitativi per quanto riguarda l’erogazione dei fondi per l’accesso destinati ai Comuni nonché le modalità di distribuzione dei fondi per la qualificazione dell’offerta formativa (emanazione di bandi per la presentazione di progetti specifici da parte delle scuole oppure distribuzione automatica per criteri oggettivi riferibili alla popolazione scolastica, esplicitazione o meno di indirizzi di contenuto prioritari, incentivazione o meno della costituzione di reti di scuole su basi territoriali omogenea (es. ambiti corrispondenti ai distretti sanitari e sociali), distinzione o meno in fase di erogazione fra i fondi destinati alle scuole d’infanzia e primarie da quelli per le scuole secondarie, ampliamento dei destinatari a tutti i soggetti gestori di scuole statali e paritarie o meno.
Non è facilmente quantificabile l'ammontare complessivo delle risorse finanziarie destinate di fatto alle politiche per il diritto allo studio, posto che ai budget annualmente definiti dalle Regioni sui capitoli di gestione delle leggi regionali occorrerebbe aggiungere quota parte dei budget riferibili alla legislazione regionale sui servizi sociali in attuazione della legge 328/2000 nonché le poste di bilancio definite autonomamente dai Comuni sui propri bilanci.
Allo stesso modo non è ancora definibile (se non per stime approssimative) il volume degli operatori dedicati, attraverso la formula delle gare d'appalto o dell'assunzione diretta.
La costituzione di un osservatorio efficiente a livello regionale delle politiche di spesa e di analisi del rapporto obiettivi/risultati dell'azione pubblica costituisce certamente una esigenza prioritaria.
In vista di un obiettivo di efficacia dell'azione e della spesa pubblica complessiva sarebbe poi di fondamentale importanza poter inaugurare politiche di concertazione e di coordinamento fra Uffici Scolastici Regionali/Provinciali e Regioni/Province in ordine alla destinazione dei fondi per il diritto allo studio e di quelli ministeriali per la qualificazione dell’offerta formativa derivanti dalla legge 440/97 e da alcuni articoli del CCNL della scuola.



Tab. 1 - L'evoluzione delle politiche per il Diritto allo studio
Anni 50 e 60
Fase dei patronati scolastici
Fonti normative: Costituzione Repubblica Artt. 3 9 33 34 38 117 118

Anni 70
Fase dell'assistenza scolastica con delega agli Enti locali
Fonti normative: legge n.382 de 22/7/75; Dpr n. 616/77

Anni 80 e 90
Fase di una nuova concezione del Diritto allo studio
Fonti normative: varietà di leggi regionali (casi significativi: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto,Trento)

Anni 2000 -10
Fase attuale: persistente assenza di una legge quadro nazionale
- attuazione parziale deleghe agli enti locali previste dalla legge 59/97
- revisione parziale delle leggi regionali post approvazione della legge 2/2003
- Legge 59/97
- Decreto legislativo n. 112/98
- Legge costituzionale n. 2/2003
- Leggi regionali post leggi 59/97 e e 2/2003


Tab. 2 - Elenco leggi regionali sul diritto allo studio
REGIONI RIFERIMENTI LEGISLATIVI ANNO DI PRODUZIONE
TRENTINO BOLZANO Legge regionale n. 71 del 31 agosto 1974 1974
ABRUZZO Legge regionale n. 78 del 15 dicembre 1978 1978
BASILICATA Legge regionale n. 21 del 20 giugno 1979 1979
FRIULI VENEZIA GIULIA Legge regionale n. 10 del 26 maggio 1980 1980
LIGURIA Legge regionale n. 23 del 20 maggio 1980 1980
LOMBARDIA Legge regionale n. 31 del 20 marzo 1980 1980
PUGLIA Legge regionale n. 42 del 12 maggio 1980 1980
SARDEGNA Legge regionale n. 31 del 25 giugno 1984 1984
CALABRIA Legge regionale n. 27 del 8 maggio 1985 1985
VENETO Legge regionale n.31 del 2 aprile 1985 1985
TRENTINO TRENTO Legge regionale n. 29 del 9 novembre 1990 1990
LAZIO Legge regionale n. 29 del 30 Marzo 1992 1992
MARCHE Legge regionale n. 42 del 4 settembre 1992 1992
VALLE D'AOSTA Legge regionale n. 68 del 20 agosto 1993 1993
MOLISE Legge regionale n. 1 del 7 gennaio 2000 2000
EMILIA ROMAGNA Legge regionale n. 26 del 8 agosto 2001 2001
SICILIA Legge regionale n. 14 del 3 ottobre 2002 2002
TOSCANA Legge regionale n. 32 del 26 luglio 2002 2002
UMBRIA Legge regionale n. 28 del 16 dicembre 2002 2002
CAMPANIA Legge regionale n. 4 del 1 febbraio 2005 2005
PIEMONTE Legge regionale del 21 dicembre 2007 2007