domenica 30 settembre 2012

Bologna. Oltre l'emergenza, una prospettiva


I servizi educativi e scolastici per l'infanzia.

Gabriele Ventura



PREMESSA
La situazione di emergenza determinatasi per il sistema dei servizi educativi e scolastici gestiti dai Comuni a partire dalla fine del 2011 in conseguenza del combinato disposto dalle varie norme emanate da allora in poi inerenti il Patto di stabilità e la gestione del personale non è ancora terminata.
L’amministrazione comunale di Bologna ha individuato e avviato per l’a.s. 2012-13 una prima revisione dell’assetto organizzativo che consente una gestione efficace dei problemi più gravi e più urgenti sia in ordine alla continuità del servizio che in ordine alla occupabilità del personale precedentemente incaricato a tempo determinato, rispettando sostanzialmente i vincoli su riferiti.
La soluzione adottata prevede la responsabilizzazione di Asp Irides nella gestione di alcune parti del servizio sia nelle scuole d’infanzia che nei nidi, in relazione ai punti più deboli del precedente assetto organizzativo per quanto riguarda la gestione del personale (nel nido: orari prolungati e integrazione bambini con handicap, sia nel nido che nella materna: gestione del servizio ausiliario in una quota parte dei servizi: 13 nidi e 20 scuole infanzia) prevedendo nel contempo la possibilità di prolungare per un altro a.s. l’attribuzione di incarichi a tempo determinato per il personale insegnante delle scuole d’infanzia.
Resta da elaborare invece una soluzione organica e di prospettiva all’interno di uno scenario nel quale sono cambiati alcuni aspetti significativi ma non i dati strutturali di fondo del problema. In questo quadro occorre individuare prioritariamente una soluzione utile già per il settembre 2013 per la gestione dell’insieme dei posti occupati da insegnanti incaricati a tempo determinato nelle scuole d’infanzia.
Rimane del tutto aperta la sfida complessiva che avevamo sintetizzato a marzo 2012 in questi termini: “..Occorre ridefinire il senso della situazione … nei termini di capacità di affrontare e gestire una vera e propria transizione di sistema (che risulta necessitata alla sua origine, ma non nei suoi esiti..) con l’obiettivo di avviare una trasformazione guidata verso nuovi assetti organizzativi dei servizi educativi e scolastici a gestione diretta, finalizzata a mettere in sicurezza sia i diritti dei bambini che quelli degli adulti (lavoratori e famiglie) con uno sforzo collettivo e convergente di responsabilità creativa e realistica”.
Tornare ad affrontare il problema oggi, dopo un primo anno di elaborazioni e di riflessioni, dovrebbe consentire però anche il lusso di poter riordinare le idee attorno a dei nuclei di contenuto che, per quanto siano intrecciati fra di loro in modo indissolubile sul piano pratico e quindi rimandino a soluzioni omeopaticamente e specularmente complesse, debbono essere mantenuti distinti in un primo momento sul piano dell’analisi per una messa a fuoco più precisa per poter arrivare a elaborare una sintesi efficace sul piano della progettazione e della sperimentazione coerente delle ipotesi di soluzione.
Non è indifferente nemmeno sul piano dell’analisi l’ordine di ingresso dei temi o per meglio dire la chiave di approccio, il passo iniziale di un percorso logico finalizzato a questo scopo perché proprio come avviene nel gioco degli scacchi la prima mossa spesso determina il tipo di partita che poi si giocherà.
Da questo unto di vista occorre segnalare che la revisione della gestione e del funzionamento dei servizi educativi e scolastici nel tempo di una crisi economica che accompagna e qualifica un processo di trasformazione antropologica e culturale strutturale dovrebbe individuare anche l’obiettivo di recuperarne una funzionalità generale attraverso l’analisi di problemi specifici che si pongono su di un versante psico sociologico e di un approccio di pedagogia sociale dotato degli strumenti concettuali, metodologici e tecnici adeguati quanto meno a giocare la partita alla pari piuttosto che limitarsi a subirla sulla difensiva e in ritardo.
La Questione pedagogica: gli orientamenti.
emergenze sociali e culturali e ricostruzione di un percorso.
I caratteri della crisi in campo educativo e culturale
Le trasformazioni socio economiche registratesi negli ultimi venti anni a livello internazionale hanno determinato a cascata una quantità enorme di conseguenze sul piano sociale e culturale.
Il profilo antropologico diffuso che ne consegue nell’area del mondo in cui viviamo (occidentale, europea e latina) con particolare riferimento alla costruzione della identità personale e di gruppo (declinate secondo le differenze costitutive di genere e di condizione esistenziale specifica nel corso delle diverse età della vita, nonché le pratiche di relazione interpersonale e sociale sono stati descritti e analizzati efficacemente da alcuni grandi pensatori (Bauman, Morin, Sennett). Il quadro che ne risulta può essere letto come una trasformazione epocale dagli esiti non prevedibili e dai contorni problematici sotto vari profili.
Le contraddizioni e i dilemmi che si esprimono a livelli radicali nella vita delle singole persone e dei gruppi sociali fino al cuore di fenomeni che si collocano nella sfera della produzione e della riproduzione della vita (in senso biologico, psicologico, culturale e sociale) non potevano non avere ripercussioni strutturali nel campo dell’educazione.
Ad oggi infatti occorre registrare un situazione generale di particolare complessità e difficoltà (si è enunciato da più parti il concetto di “emergenza educativa” in parallelo a quello di “crisi economica globale”) determinata sostanzialmente dal fatto che sono entrati in crisi sia i paradigmi autoritari e patriarcali di una società prevalentemente contadina e manifatturiera (statica nella sua struttura di fondo nonostante i progressi dell’economia, della tecnica e della scienza) sia quelli di natura libertaria e poi liberista emersi a partire dagli anni settanta e ottanta in coincidenza con una fase di sviluppo economico post industriale caratterizzato da una mobilità di fatto incontrollabile (non solo in senso geografico) di persone, merci e informazioni, nonché dalla diffusione di strumenti di comunicazione e di interconnessione planetaria.
Merita segnalare che questi paradigmi sono entrati in crisi in conseguenza del fatto che sono caduti i presupposti sociali che li fondavano e sostenevano e quindi risulterebbe abbastanza velleitario qualunque tentativo di elaborazione di contromisure meramente e astrattamente pedagogiche, così come lo possono essere i discorsi su principi e perfino sui diritti disancorati da un’analisi e da risposte sul piano dei bisogni primari.
In questa crisi stanno e con questa crisi debbono fare i conti innanzitutto le diverse figure antropologiche interessate dai processi educativi: in primis bambini, genitori, educatori e insegnanti. Ma le stesse istituzioni educative non possono essere considerate come fattori neutri sia sul piano del senso complessivo e oggettivo che esprime la struttura e l’organizzazione, sia sul piano soggettivo dei vissuti di agio o di disagio che nella quotidianità caratterizzano l’esperienza dei singoli attori che si muovono al loro interno in ordine alla gestione dei ruoli, delle responsabilità e delle competenze, delle relazioni e degli apprendimenti.
Linee di ricerca per una il rilancio di una cultura dell’educazione
La lezione della pedagogia istituzionale resta sotto questo profilo di grande attualità e utilità, una volta che si riesca a declinarne efficacemente gli strumenti classici di analisi e di progettazione rispetto agli attuali scenari e contesti macro e micro sistemici (cfr. U.Brofenbrenner) che potremmo definire caratterizzati da elementi di “complessità liquida” (condensando in una formula il contributo ben più ricco del pensiero di Bauman e di Morin). Dentro questo cornice di riferimento di carattere generale il ricorso sul piano macrosistemico al pensiero di J. Bruner in ordine alla cultura dell’educazione e a quello di D.H.Winnicott in ordine a una cultura della relazione, ci sembra che potrebbe completare il quadro di un affascinante percorso di ricerca-azione che si configura di fatto come un vero e proprio “esodo culturale” alla ricerca di una nuova “terra” e un nuovo “inizio”.
In questo percorso la pedagogia delle prima infanzia italiana ed europea del novecento non manca certo di autorevoli e fondamentali punti di riferimento; si può anzi dire che la pedagogia italiana del novecento rappresenti la pedagogia delle prima infanzia tout court anche a livello internazionale (per tramite soprattutto di due figure come Maria Montessori prima (a partire dal primo decennio del novecento) e Loris Malaguzzi (a partire dagli anni settanta) i cui modelli hanno costituito un vero e proprio prodotto di esportazione).
Occorre però nel contempo segnalare che, per quanto meno rinomati su scala internazionale sono risultati più diffusi su scala nazionale i contributi e le esperienze di Rosa Agazzi ( a partire dall’ ultimo decennio dell’ottocento) e di Bruno Ciari (anni cinquanta e sessanta del novecento) con un comune connotato di natura intenzionalmente nazionalpopolare.
Non sembri superfluo o retorico questo richiamo storico perché se è vero che restano ignoti gli approdi di quel che abbiamo definito un esodo culturale è altra tento vero che è bene non dimenticare i punti di partenza perché rappresentano una dote ineliminabile (nel bene e nel male), tale per cui non risulta né utile né possibile non farci conti per quanto sia giusto e doveroso farlo criticamente e con lo sguardo rivolto al presente e al futuro piuttosto che alla nostalgia per una epoca d’oro pedagogica (che probabilmente non è mai esistita per davvero come oggi ce la rappresentiamo).
Democrazia ed educazione
Di una cosa ci sentiamo abbastanza sicuri: ritorna prepotentemente di attualità il nesso concettuale (già individuato da J.Dewey poco meno di cento anni fa: 1916) fra “Democrazia ed educazione”, ma con un significato più ampio in ordine ai contenuti e alla geografia (occorre oggi infatti collocare quel nesso nell’ambito del processo di globalizzazione economica e di interconnessione/contaminazione culturale in atto) e più profondo (la sfida infatti si colloca oggi sia per la democrazia che per la pedagogia al livello di una necessaria rigenerazione di senso delle pratiche e di rifondazione strutturale delle istituzioni, della organizzazione e delle procedure).
Da questo punto di vista e in questo contesto, appare francamente patetica (absit iniuria verbis) la riproposizione di discorsi intorno alla scuola e alla educazione di stampo normativo e statalista oppure al contrario di stampo libertario e liberista, perché risultano entrambi con ogni evidenza privi di qualunque possibilità di aggancio con la realtà (non parliamo nemmeno di direzione dei fenomeni..), impotenti sul piano di una qualificazione in senso davvero democratico del governo del sistema e del suo sviluppo, contrassegnati da inevitabili contraddizioni concettuali, nonché spesso e volentieri da interessi di parte, a volte in modo tanto smaccatamente corporativo, quanto velleitario.
Da un certo punto di vista queste posizioni risultano paradossalmente rinunciatarie perché evitano con cura il dilemma fondamentale che caratterizza la democrazia nella sua forma attuale: quella di essere applicabile solo al netto di tutte le differenze sostanziali che pure costituiscono il nucleo fondante delle identità delle persone, dei gruppi sociali e dei popoli. Da quelle occorrerebbe ripartire per una iniziativa convergente e parallela di costruzione di un patto di non belligeranza (nel senso di un movimento reciproco di evitamento del danno come scopo primario) e poi di costituzionalizzazione (nel senso della elaborazione culturale del riconoscimento della necessità dell’altro ancora prima che in senso istituzionale), perché non esiste democrazia reale senza la assunzione volontaria di un limite sociale alla propria libertà di iniziativa. Da qui il carattere non neutro ma piuttosto intersoggettivo e liberamente condiviso del carattere democratico di qualsivoglia istituzione (anche di quelle educative).
L’ accoglienza ecologica (cioè ordinata e regolata) nello spazio pubblico delle differenze, come impegno (richiesto a tutti e corrisposto da ciascuno) di ricerca di un dialogo e di un confronto permanenti costituiscono la scelta originariamente fondante un patto di convivenza cooperativa, attraverso l’interpretazione responsabile e virtuosa di un processo dialettico di differenziazione e integrazione. (cfr. Costituzione Italiana art. 2 e art. 3 comma 1)
Da questo punto di vista un programma/obiettivo universalistico in tema di diritti e scrittura delle regole è finalizzato al conseguimento di traguardi progressivi sul piano della equità (intesa come pari opportunità) e della libertà sostanziale (intesa come rimozione degli ostacoli alla autodeterminazione consapevole e responsabile (cfr. Costituzione Italiana . art. 3, comma 2 ). L’unità a cui mira questa azione non può che essere che una “unità plurale”.
Ecologia dello sviluppo umano
Se l’educazione reale si determina come esito di una relazione strutturalmente e costitutivamente dialettica (fra genealogia e ambiente, singolarità’ individuale e sistema sociale, maschile e femminile, ecc.), allora ai fini di una riforma morale e intellettuale di cui si sente il bisogno in modo acuto in una fase di inizio millennio che si può definire senza enfasi di transizione epocale di civiltà, allora occorre la consapevolezza della necessità di un doppio movimento in campo pedagogico.
Da un lato si pone la necessità di una nuova alleanza educativa fra i molti attori chiamati in causa a vari livelli di complessità del sistema relazionale e sociale (da micro al macro e viceversa) a partire dalla consapevolezza del valore e della parzialità al tempo stesso del proprio essere individuale: l’educazione o è cooperativa e non è . Da questo punto di vista potremmo dire provocatoriamente che l’educazione reale non è materia di esclusiva competenza di qualcuno professionalmente deputato a questo scopo (stesso discorso per altro si può tranquillamente fare per la salute..).
Bisogna però intendersi bene: perché non è parimenti ammissibile una deriva degradante sul piano culturale che azzera qualunque riflessione seria e rigorosa a favore di un senso comune che per altro risulta sempre più condizionato da fattori estranei di tipo sub culturale o massmediologico o consumistico. L’analfabetismo di ritorno insomma si esplica ben oltre il versante funzionale (anche in campo educativo) in modo tale per cui la comprensione della frase costituzionale relativa la fatto che “la sovranità spetta al popolo” deve necessariamente includere anche il seguito dove si specifica come segue “..che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” . Qualcosa di simile vale anche per il diritto dovere all’esercizio della responsabilità educativa primaria in capo a genitori e famiglie, rispetto a diritti fondamentali della persona che per altro sono almeno in parte già definiti per quanto riguarda i casi limite nel codice Civile e penale. Questo fatto per altro non si capisce perché mai dovrebbe suscitare sospetti e diffidenze (al netto di incidenti ed eccezioni..) invece che rappresentare una garanzia di terzietà legalitaria (che notoriamente serve solo in casi di necessità) e quindi risultare rassicurante per tutti. Alla luce di una matura assunzione di responsabilità personale e sociale e di una corretta elaborazione deontologica e professionale le differenze (di ruolo, di soggettività personale, di genere, di cultura, di età, ecc.) non possono che essere una risorsa, piuttosto che un problema.
Per una pedagogia sufficientemente buona
E’ comprensibile che nel mezzo di una temperie di trasformazioni, economiche, sociali e culturali della portata che abbiamo potuto appena accennare si registrino fenomeni diffusi di disorientamento che affiggono educatori naturali e professionali (fuori di metafora: genitori e insegnanti).
Al di là degli episodi eclatanti e anche drammatici riportati di volta in volta (ma con una crescente frequenza) dalla cronaca, da quello straordinario osservatorio antropologico che è rappresentato dalla gestione quotidiana dei servizi educativi e scolastici per l’infanzia è possibile rilevare segnali di malessere e di difficoltà a carico di adulti e bambini, tale per cui la dimensione della prevenzione primaria deve essere individuata come una delle mission fondamentali di quei servizi sul piano culturale e sociale.
A carico dei genitori si rilevano:
- fenomeni di insicurezza che rimandano a una condizione di solitudine/isolamento, rottura delle reti genealogiche e intergenerazionali tradizionali e debolezza di quelle amicali e/o associative,
- comportamenti e aspettative contraddittori, altamente diversificati, a volte decisamente inadeguati sul piano delle modalità di cura (come forma di pre-occupazione sana e responsabile)
- enfatizzazione impropria ed esagerata delle aspettative in ordine ai percorsi di apprendimento e di socializzazione dei bambini.
A carico degli insegnanti (ma in modi diversi anche delle figure ausiliarie) si rilevano:
- una stanchezza specifica relativa a una certa fascia generazionale determinata dall’anzianità di servizio che si proietta ulteriormente nel tempo per effetto dei provvedimenti relativi al prolungamento dell’età pensionabile con effetti che non paiono ancora nemmeno tematizzati né da parte delle istituzioni, né da parte sindacale;
- un crescente affaticamento generale (indipendente dalla anzianità di servizio) a fronte dell’aumento della complessità della esperienza quotidiana di lavoro rispetto alle difficoltà emergenti nel rapporto con i problemi che i bambini portano con sé a scuola, ma ancora di più con i problemi e le aspettative che i genitori e le famiglie portano a scuola;
- una difficoltà a uscire da una concezione idealizzante e tardo deamicisiana della professione educativa e docente che determina sentimenti contraddittori di vergogna (rispetto a una consapevolezza non dichiarata e quasi inconscia di inadeguatezza sostanziale) e di contestuale ricerca di protagonismo nonché aspettative di riconoscimento e gratificazioni sul piano lavorativo sia a livello individuale che a livello sociale (come categoria e come sottogruppo dotato di minore forza contrattuale nell’ambito della più ampia categoria del personale insegnante). En passant occorre segnalare a questo riguardo che il personale ausiliario soffre perfino della mancanza di una qualifica professionale specifica.
A carico dei bambini si rilevano:
- difficoltà e ritardi nello sviluppo sul piano delle abilità linguistico-comunicative
- fenomeni di disagio sul piano relazionale (vissuti di autoreferenzialità che vanno oltre la fisiologica caratterizzazione relativa al grado di maturazione e di sviluppo e che sembra attendibile ricondurre almeno in parte anche ad una carenza di esperienza di convivenza, confronto e scambio con coetanei in ambito familiare ed extrascolastico.
- crescenti competenze sul piano della gestione dei codici visivi ( figure e simbologie) nonché di tecnologie comunicative da un lato e minore padronanza delle competenze motorie (sul piano delle autonomie personali ma anche delle capacità di orientamento in uno spazio non virtuale, ma fisico e tridimensionale).

Educatori e genitori: la condivisione implicita di una condizione da “comici e spaventati guerrieri” (S.Benni)
La presa di coscienza di queste problematiche può anche scoraggiare e indurre alla rassegnazione oppure può produrre indignazione e ribellione e poi indurre a velleitarie imprese di tipo prometeico.
Le une e le altre sono già state ampiamente sperimentate nel corso della storia universale e non pochi hanno potuto farne esperienza anche nel corso della propria storia personale.
Ci pare quindi possibile un affermazione apparentemente paradossale: intenzionalità educativa e ironia sono tratti soggettivi che debbono essere coltivati e coniugati quotidianamente, a livello personale e debbono trovare anche delle espressioni tecniche e procedurali in ambito istituzionale perché costituiscono un binomio fecondo e virtuoso, un indicatore di benessere e di salute, prima ancora che di efficacia.
Uno sguardo educativo sapiente (declinato in termini di allegria e bonarietà amorevole/materna o al contrario di severità paterna/responsabile: cfr. Filippo Neri – 1575, Lorenzo Milani – 1967) può essere conseguenza di una fisiologica differenza di attitudini soggettive e di personalità o invece la messa in atto di una consapevole scelta contingente basata sulla interpretazione delle circostanze, ma non è mai uno sguardo ingenuo o superficiale; in un caso e nell’altro un tratto visibile di ironia e di autoironia rappresenta l’indizio sicuro di una consapevolezza profonda della realtà e del limite di qualunque intenzionalità e iniziativa che voglia rimanere ancorata saggiamente alla terra e alla caratteristiche ontologiche della condizione umana e della sua storia.
In ambito culturale e politico tutto questo può essere espresso con formule di maggiore impatto comunicativo arrivando qualificare la “pedagogia come scienza a sovranità limitata”, cioè come sapere circa il senso, i contenuti e i modi delle attività di cura e di sostegno dello sviluppo umano, nonché come pratica democratica di promozione esistenziale sul piano della relazione interpersonale e di emancipazione sociale sul piano della relazione comunitaria.
In campo filosofico (pensare non risolve, ma aiuta) occorre riconoscere che l’antico dilemma/paradosso inerente il concetto di libertà’ e autorità’ in educazione ha registrato (in anni recenti ma neanche pochissimi ormai) dei contributi importanti e anche decisivi da un certo pensiero femminile (cfr. Luisa Muraro, L. Irigaray) se non fossero ancora ampiamente sottovalutati, se non del tutto ignorati (tanto nella teoria accademica come nella pratica educativa reale).
Che fare? Una risata forse ci libererà (libero adattamento da V.Majakovskij)
Occorre innanzitutto creare due condizioni preliminari di consapevolezza sul piano del metodo e della prospettiva:
  1. In primo luogo occorre sapere che non si tratta di una “malattia” leggera, a decorso breve; forse si può ottimisticamente considerare che si tratti di una di quelle malattie che in ambito pediatrico caratterizzano fisiologicamente la crescita, ma non ci sono vaccini efficaci che consentano di evitarla.
  2. in secondo luogo serve un esercizio onesto e permanente di confronto e di autocoscienza/autocontrollo perché le tentazioni istintive di rimozione e di fuga assumono anche tratti imprevisti (ad es. forme di collusione confusiva fra educatori in cerca di gratificazioni e genitori in cerca di rassicurazioni) che producono vere e proprie distorsioni della percezione dei problemi, delle persone e delle aspettative, dei ruoli, delle pratiche e delle relazioni. Nota bene: di solito con l’aggravante di un tratto aggiuntivo di natura individualistica e consumistica che, se è socialmente indotto, non per questo risulta meno dannoso e giustificabile. Occorre in ogni caso segnalare che si tratta di tentativi di soluzione puramente difensivi, inefficaci e alla fine anche controproducenti dei problemi, dei conflitti del senso di insicurezza diffuso.
Costruita, anche senza una precisione satellitare, la mappa del territorio educativo con le sue asperità e le sue paludi, completato l’equipaggiamento necessario per il viaggio e acquisite le informazioni di viaggiatori che abbiano già fatto tentativi esplorativi, nonché le eventuali raccomandazioni di esperti vari e diversi che possano risultare utili allo scopo si può tentare qualche passo in una direzione o in un’altra.
Il discorso qui si potrebbe allungare di molto ma in questa sede preferiamo limitarci a indicare i titoli di quelli che ci sembrano due piste di ricerca essenziali, quasi quanto indicazioni segnaletiche significative, anche perché di contenuto coerente con quanto si può raccogliere da altre fonti informative e perfino in ambiti diversi da quello specifico dell’educazione.
Uno sforzo utile e foriero di risultati vantaggiosi sembra riferibile ad una iniziativa di ricerca binaria, finalizzata da un lato a rinnovare il significato di un motto antico e dall’altro ad adattare il senso di una parola d’ordine molto più moderna che qui utilizziamo come metafora:

unicuique suum = a ciascuno il suo (n.b. in questo caso “il suo” sta per “mestiere”).
educatori di tutto il mondo (e di tutte le bandiere..) unitevi (n.b. in questo caso l’appello è finalizzato contrariamente a quello originario a scopi più miti, comunque non violenti, di rigenerazione del senso della parola educazione, attraverso la costruzione di un ragionevole e ragionato campo di autonomia epistemologica e pratica (anche attraverso un adeguato ripensamento delle categorie e degli strumenti di lavoro sul piano sociale, culturale, deontologico e tecnico) rispetto ad altre fonti di pensiero e di potere (quand’anche rappresentassero una legittima committenza) e anche rispetto ai condizionamenti determinati dalle eredità e dalle qualità originarie della storia individuale di ciascuno.


"Riforma della scuola" n° 15

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